DDL precari pessimo anche al Senato = Uno spettro = Professore-calciatore

Per leggere il testo del DDL all’esame, in sede redigente (nota 1), della Commissione Istruzione del Senato cliccare qui (pagg. 4-10), all’interno del “Fascicolo Iter DDL S. 2285 – Disposizioni in materia di attività di ricerca e di reclutamento dei ricercatori nelle università e negli enti pubblici di ricerca”.

Per leggere gli emendamenti fino a ora presentati al Senato cliccare qui. Solo il Relatore e il Governo potranno eventualmente presentare nuovi emendamenti.

PRECARIATO A OGNI COSTO

CONCORSI. UNO SPETTRO SI AGGIRA NELL’UNIVERSITA’

BRAGA. PROFESSORI E CALCIATORI

 

1. Precariato a ogni costo
a. Le borse post lauream (art. 2)
b. I “nuovi” contratti di ricerca (art. 4)
c. Il ‘nuovo’ Ricercatore universitario (art. 5)
d. Precari anche per oltre 17 anni
e. Ecco cosa fare per eliminare veramente il precariato
 
2. Uno spettro si aggira nell’Università
a. Lo spettro della mancanza del membro interno nelle commissioni
b. “Scandali” e sistema dei concorsi “pilotati”
c. Galli e il Ministro
 
3. Braga: professori e calciatori.

 

  1. Precariato a ogni costo

Non ci sono ragioni che tengano. A nulla sembrano valere le proposte unitarie contenute in un 

documento di ADI, ANDU, ARTED, CISL UNIVERSITÀ, CNU, FLC CGIL, RETE 29 APRILE, UNIVERSITÀ MANIFESTA, l’appello della Presidente del CNR (nota 2) e, perfino, i convincimenti del Relatore: il precariato deve permanere e deve essere vasto e di lunga durata.

Anzi, con il DDL che si sta approvando al Senato, sarà ancora peggio, altro che abolizione del precariato o, addirittura, svolta epocale! Ecco perché.

 

a. Le borse post lauream (art. 2)

Con le borse post lauream si prevede un precariato senza alcun compito definito per legge e senza alcuna tutela e dignità, al servizio personale di un professore che, tra l’altro, potrà ‘testare’ il borsista per decidere poi se dargli o meno un dottorato di ricerca. Queste borse sono invise allo stesso Relatore che vorrebbe, ma non potrà, cassarle.

 

b. I “nuovi” contratti di ricerca (art. 4)

Il ‘nuovo’ contrattista di ricerca previsto dall’emendamento del Relatore (emendamento 4.1), ripropone sostanzialmente l’attuale assegnista di ricerca, una figura che costituisce la peggiore forma di precariato.

Questa ‘nuova’ figura sarà massicciamente utilizzata da coloro che vogliono reclutare precari usa e getta, soprattutto dopo che mancherà loro quella del RTDA, notevolmente utilizzata dagli Atenei per oltre dieci anni che l’hanno preferita a quella di RTDB, che di fatto era un posto di professore associato (sostanzialmente l’associato non confermato di qualche anno fa).

E per non lasciare alcun dubbio sulla ‘qualità’ e sulla mancanza di novità di questa figura, per essa si prevede, a parte le importanti ed elementari tutele proprie dei contratti, una bassa retribuzione, l’assenza di qualsiasi norma nazionale riguardante le modalità di reclutamento e i compiti da svolgere. E per essa non viene nemmeno prevista alcuna autonomia e tanto meno la possibilità di essere responsabili di fondi di ricerca. Inoltre non è previsto alcun limite al numero dei posti da bandire, mentre le Organizzazioni universitarie, nel loro documento unitario, chiedono di rapportare il numero dei posti dei nuovi contrattisti al numero dei posti di ruolo programmati. Infine, come richiesto anche dal CUN, il Relatore ha portato da quattro a cinque anni la durata possibile del ‘nuovo’ assegno. Nello stesso emendamento del Relatore è anche previsto il prerequisito del titolo di dottorato per accedere a questo contratto, a differenza di quanto previsto per l’attuale assegno di ricerca.

È importante sapere che, come ha chiarito lo stesso Relatore, l’emendamento da lui presentato, che prevede una figura che è tutt’altro che un pre ruolo), è stato concordato con tutti i Gruppi della maggioranza e con il Ministero: anche questa volta, come per tutte le leggi approvate negli ultimi decenni per demolire il Sistema universitario statale, si ratificherà da parte di tutto il Parlamento, di fatto, quanto voluto dai potentati accademico-ministeriali.  

 

c. Il “nuovo” Ricercatore universitario (art. 5)

Rispetto al RTDB, che questa ‘nuova’ figura sostituirebbe, si accentuano le sue caratteristiche precarie per le modalità delle verifiche e per l’allungamento della sua possibile durata dagli attuali tre anni dell’RTDB a sei anni (emendamento 5.16 del Relatore).

 

d. Precari anche oltre i 17 anni

Fino a tre anni di borsa, tre anni di dottorato, fino a cinque anni di ‘nuovo’ assegno, fino a sei anni di ricercatore universitario. Totale 17 anni, non considerando i tempi di attesa per i vari ‘avanzamenti’ nella carriera precaria. E tutto questo a danno dell’Università (“si rende meglio e di più se stabilizzati”, come testimoniato anche dalla Presidente del CNR) e anche a danno del Paese, oltre che per i diretti interessati: a 32/33 anni il giovane ricercatore dovrebbe sapere di rimanere o meno nell’Università, stabilizzato nel ruolo docente.

 

e. Ecco cosa fare per eliminare veramente il precariato

 

L’ANDU, in coerenza con il documento unitario delle otto Organizzazioni universitarie, ha proposto al Relatore, ai Senatori e al Ministro emendamenti che, se approvati, assieme al bando straordinario di almeno 30.000 posti di ruolo, libererebbero per sempre l’Università italiana dalla peste del precariato, senza espellere la stragrande maggioranza degli attuali precari.

Finora invece sono stati presentati emendamenti quasi tutti dettati da coloro che vogliono, o si rassegnano ad accettare, una Legge che prevede lo sfruttamento per tanti anni di migliaia di giovani ricercatori, per poi espellerli quasi tutti dall’Università.

Per leggere gli emendamenti dell’ANDU cliccare qui.

 

  1. Uno spettro si aggira nell’Università

 

a. Lo spettro della mancanza del membro interno nelle commissioni

L’interesse prevalente nell’accademia italiana, e in specie in quella che più conta, non è il DDL sul precariato che il Senato sta per votare e che mantiene il precariato, peggiorandone le condizioni. E nemmeno lo sono gli “scandali” concorsuali che, ancora per pochi giorni, ‘impegneranno’ gli organi di informazione.

No, la principale preoccupazione, con punte di panico, è quella che possa non-fare-parte delle commissioni un membro designato dall’Ateneo che bandirà il concorso del ‘nuovo’ Ricercatore universitario previsto nell’art. 5 del DDL sul precariato.

E in effetti, nel testo approvato alla Camera, non viene assicurata la presenza nelle commissioni di un membro locale, cioè di colui che riuscirà a farsi bandire il posto destinato a un suo allievo. Una norma questa che, se mantenuta dal Senato, non garantirebbe più il ‘normale’ svolgimento degli attuali concorsi finti e locali, ovvero la cooptazione personale, con i connessi fenomeni di nepotismo, che sono alla base dei ricorrenti “scandali” concorsuali.

b. “Scandali” e sistema dei concorsi “pilotati”

L’ANDU non ha mai cavalcato gli “scandali” concorsuali, anzi si è fermamente opposta alla sola idea di commissariare l’Università di Catania e quella per Stranieri di Perugia. Gli “scandali” vanno considerati con preoccupazione perché sono il segno che l’autonomia dell’Università è diffusamente intesa, nel caso dei concorsi, come autonomia del singolo professore di decidere sulla formazione, il reclutamento e la carriera dei giovani docenti/ricercatori. Ed è questo sistema di potere baronale che andrebbe smantellato, senza poi scandalizzarsi quando questo stesso sistema è oggetto dell’attenzione della magistratura amministrativa e/o ordinaria.

Bisognerebbe smettere di negare l’evidenza e di mascherare la difesa dell’autonomia del singolo (la cooptazione personale), con la difesa della finta autonomia degli Atenei. L’autonomia – quella vera – è inesistente da anni (ANVUR, rettore/padrone, etc.). L’autonomia degli Atenei, o meglio quella didattica e di ricerca dei singoli docenti che ne fanno parte, si può avere solo nell’ambito dell’autonomia dell’intero Sistema universitario e quindi anche costituendo un valido e democratico Organo di rappresentanza e di coordinamento, che tolga alla CRUI il suo ruolo improprio, arbitrario e dannoso svolto da troppi decenni.

c. Galli e il Ministro

A descrivere come realmente funziona in larga misura il sistema concorsuale in Italia è anche Massimo Galli, che ha affermato: “Potrei citare casi infiniti di persone la cui carriera è stata pilotata e il cui nome compare in lavori che non hanno nemmeno letto” (sul Quotidiano Nazionale del 7 ottobre).

Ma è lo stesso Ministro a riconoscere che “esistono una serie di regole che però ancora non riescono a eliminare dai concorsi opacità e scelte personali né a darci la spinta ad aprire gli atenei all’esterno per selezionare i candidati migliori”. E sempre Ministro ha aggiunto: “Sarebbe il momento di cambiare ma si tratta di un tema complesso. Va affrontato non solo dal ministero ma anche attraverso il coinvolgimento della politica, della magistratura (sic!) e di tanti esponenti della società allargata (?)” (sulla Stampa del’8 ottobre 2021)

Coerentemente e certamente ora, senza attendere i prossimi “scandali”, il Ministro presenterà un emendamento per escludere il membro interno dalle commissioni in modo da “eliminare dai concorsi opacità e scelte personali”. E lo stesso Ministro certamente migliorerà il testo approvato alla Camera, prevedendo che il sorteggio dei commissari avvenga tra tutti i professori, senza alcun filtro e distinzione di fascia, prevedendo anche che nelle commissioni non vi sia più di un componente dello stesso Ateneo, prevedendo infine una graduatoria dei vincitori che, a scalare, potranno scegliere la sede tra quelle che hanno bandito i posti. E ancora il Ministro potrebbe prevedere anche il sorteggio di un professore appartenente al settore interessato dal bando (sempre escludendo i professori dell’Ateneo) per assicurare la presenza di una competenza specifica.

Speriamo che, al contrario, non si voglia, oltre che mantenere il membro interno, introdurre norme che evitino, o rendano più difficoltosi, gli interventi della magistratura, introducendo così una sorta di impunità di fatto.

 

3. Professori e calciatori

Dario Braga, nel suo lungo intervento sul Sole 24 ore del 13 ottobre 2021 (“E’ ora di cambiare le regole che governano i concorsi universitari”), auspica che la scelta di un docente universitario avvenga con gli stessi ‘criteri’ che si applicano nella scelta di un elemento di un’orchestra, un medico, un calciatore, un pizzaiolo, un autista, un bancario. Analogamente, sostiene Braga, un professore universitario dovrebbe essere scelto per la sua “aderenza al profilo professionale richiesto dal Dipartimento”. Poi evoca le situazioni virtuose “in altri Paesi europei” e “nel resto del mondo”

Lo stesso Dario Braga scrive che vuole mantenere il concorso, peraltro previsto dalla Costituzione, ma vuole anche che gli esiti di esso portino a un vincitore aderente al famigerato “profilo”, escludendo “il meccanismo della graduatoria (?)”.

Premesso che l’ANDU chiede da tanto tempo che tutte le commissioni, a tutti i livelli, debbano operare senza alcun vincolo di tipo anvuriano, e debbano decidere liberamente ‘solo’ valutando (leggendoli) i titoli dei candidati, si vorrebbe chiedere a Braga se non sa, come tutti sanno, che il “medaglione” (il profilo) è uno strumento già largamente usato per fare vincere il predestinato locale.

Non sarebbe meglio allora prevedere un buono-posto da assegnare direttamente al singolo professore, quando viene il suo turno, facendogli scegliere chi vuole, ritornando così ai bei tempi dell’assistente? In tal modo si risparmierebbe tempo e denaro e si eviterebbe qualsiasi intervento. della magistratura.

E infine, Dario Braga pensa anche lui che sia indispensabile la presenza nelle commissioni di un membro scelto localmente, continuando così ad assicurare che a vincere il finto concorso sia il candidato predestinato, perfettamente aderente al “profilo”?

 

Nota 1. Sede redigente.

“Il procedimento in sede redigente è un ibrido previsto indirettamente dall’articolo 72 della Costituzione, dove la commissione delibera sul testo articolo per articolo, mentre l’Assemblea soltanto per votazione finale. Per quanto vi sia una votazione finale da parte del plenum dell’assemblea, si considera questo tipo di procedimento affine a quello in sede legislativa o deliberante,” (Wikipedia).

 

Nota 2. Maria Chiara Carrozza, presidente del CNR:

“Dobbiamo avere una grossa massa di ricercatori che stiano bene, che stiano socialmente rispettati, che possano contrarre un mutuo e avere una casa, che possano avere una famiglia, possano avere la maternità e altri welfare e quindi per me è estremamente importante oggi uscire dalla logica del precariato, dare una posizione decorosa e socialmente rispettabile. Siccome sono loro che ci porteranno fuori dalla pandemia, fuori dall’impatto climatico e risolveranno, spero, tutti i problemi che affliggono il pianeta in questo momento, cercheranno di affrontarli. Marginalizzarli o rendere la loro vita troppo precaria io non ci ho mai creduto, anche quando in questo Paese, in queste Aule, qualche anno fa c’era chi appunto diceva che tutte le posizioni di ricercatore devono essere a tempo determinato. Io sono sempre stata in favore di contratti stabili e di tranquillità. Personalmente la mia vita è cambiata quando a trentatré anni ho avuto il primo contratto a tempo indeterminato. Ho vinto un concorso e dopo che l’ho vinto io ho lavorato molto di più di prima e meglio di prima, quindi so quanto può rappresentare questo e quindi vi ringrazio per tutto quello che farete in questo senso”. (dall’intervento all’Incontro del 5 ottobre 2021 al Senato).

3 comments for “DDL precari pessimo anche al Senato = Uno spettro = Professore-calciatore

  1. Paola Sonia Gennaro
    15 ottobre 2021 at 09:17

    La cosa più scioccante è sempre la mancanza di visione di un futuro dell’istituzione e del suo ruolo nella società, nel paese, nel mondo. Una sorta di après nous le déluge, da parte di chi è istituzionalmente deputato alla formazione della élite del paese che dovrà farsi carico appunto di questo futuro. Quanti, quali, quando e soprattutto per quale obiettivo?
    Rinunciando a cogliere l’occasione per un reale rinnovamento del corpo accademico, con un sostanziale incremento di numero, indispensabile per risalire dalle posizione di coda nei vari parametri europei, anche rispetto al numero di immatricolati, studenti, laureati, dottorati, età di laurea e di dottorato, ricercatori nel mondo del lavoro, nonché quota di pil pubblica e privata, investita in formazione terziaria e ricerca, si sceglie invece di aprire nuove praterie di precariato che imprigioneranno le nuove generazioni (le next generation!) in un bracciantato della ricerca esposto ad ogni genere di vessazioni. Una per tutte quella disposizione del ddl che prevede che non solo non dia luogo a diritto di accesso al ruolo, né alla stabilizzazione Madia, ma ci tiene a precisare che “in ogni caso” non costituisce titolo preferenziale nei concorsi per la pubblica amministrazione. Proprio mentre da un lato il ddl stesso prevede il riconoscimento del dottorato nei concorsi per la pubblica amministrazione, e dall’altro il governo proclama l’impegno per una decisa riqualificazione della pubblica amministrazione.
    Se la ministra intende che il merito vada ricercato ovunque e sempre e che il valore della mobilità stia proprio nello scambio di idee, tesi, metodi e prassi di ricerca che spingano la ricerca “oltre” la conoscenza già acquisita e consolidata, anche a costo di metterla in discussione, allora possiamo dire che siamo con lei. Altrimenti avremo il violinista che, per quanto sublime, non potrà fare altro che ripetere le musiche composte da altri secoli fa.

  2. Dario Braga
    17 ottobre 2021 at 19:03

    Dunque – io sostengo semplicemente che docenza/ricerca sono una professione e come per tutte le professioni non c’è intercambiabilità – uno/a non vale uno/a. La nostra ipocrisia – tutta italica – è di pretendere inapplicabili regole di 1vale1 dove non valgono, quindi meccanismi bizantini, parametri, commissioni semi casuali ecc. Il risultato? sotto gli occhi di tutti… noi abbiamo bisogno di “normalità” e questa normalità non corrisponde a concorsi per ricercatore o per professore (ma vado oltre nemmeno per dottorandi e nemmeno per assegnisti di ricerca) come se si selezionasse un portalettere o un usciere. Il “medaglione” lo conosco bene – ed è infatti uno strumento per delineare il profilo richiesto – e questo va bene però non lo si deve usare perché il concorso EDEVE essere aperto a tutti gli aventi titolo … e il titolo non è la competenza ma l’aderenza a un certo SSD e il superamento di certe mediane …

  3. Paola S. Gennaro
    18 ottobre 2021 at 13:03

    A BRAGA

    Non dimentichiamo che si tratta di scegliere chi dovrà inventare il mondo che verrà, quello che non solo ancora non c’è, ma che non è neppure prevedibile. Disegnare un profilo su ciò che si sa e si fa oggi, hic et nunc, non solo non ha senso, ma potrebbe essere perfino dannoso perché chiuderebbe la strada a chi invece stia guardando “oltre”, nella profondità dello spazio e del tempo.

    Niente a che vedere con gli “esecutori”, seppure sublimi, siano pizzaioli, violinisti, autisti, bancari, mentre per un medico e per un calciatore è apprezzato che siano “fantasisti”, proprio perché devono immaginare “oltre” la consuetudine consolidata.

    Proprio perché uno non vale uno, non si può pretendere che un singolo professore, magari in piena onestà, ma anche in tarda età dov’è arrivato perfezionando una tecnica, una teoria, un metodo, ecc. sia in grado di intravvedere nuove strade e nuovi traguardi e soprattutto di conoscere quale sia tra tutti i possibili ricercatori del mondo, quello/a più adatto a continuare nella sua linea di ricerca, che magari non è proprio colui o colei che ha lavorato con lui fino ad oggi, gomito a gomito.

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