Giavazzi ora vuole subito il DDL. A ruota Quagliariello e Berlusconi.

= AGGIORNAMENTO del 25.6.10. Il ricatto del Governo: la dichiarazione del Sottosegretario nella Commissione Istruzione del Senato del 16 luglio 2010 (cliccare “in sede referente” e leggere, all’inizio, l’intervento del sottosegretario Pizza). Il parere della Commissione Istruzione del Senato del 22 luglio 2010 su Manovra e Università (cliccare sul secondo “allegato”). Un intervento del sen. Giuseppe Valditara sul Secolo d’Italia del 25.6.10: “occorre una profonda revisione della manovra sull’università”.

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          Periodicamente Francesco Giavazzi, economista bocconiano, prova a ‘dettare legge’ sull’Università. Già una volta gli è andata bene. Infatti nel novembre del 2008 aveva scritto che occorreva intervenire sui concorsi già banditi e con una parte delle commissioni già composta e subito il Governo aveva provveduto con un decreto-legge che è solo servito a rinviare di mesi lo svolgimento dei concorsi, senza sconvolgerne gli esiti ‘prestabiliti’: la presenza del ‘membro interno’ e la possibilità per la Facoltà di non chiamare gli idonei non ‘prescelti’ dal ‘maestro’ locale renderà ora sostanzialmente ininfluente il sorteggio di una parte delle commissioni.

          Francesco Giavazzi, però, non si preoccupa solo del bene generale dell’Università, ma anche di quello di settori a lui vicini. Come quando, sempre sul ‘suo’ Corriere della Sera, si è preoccupato, assieme a Roberto Perotti (lui sul ‘suo’ Sole 24-ore), di alcuni concorsi a Roma Tre,  mostrando  così che alcuni ‘particolari’ concorsi sono particolarmente pubblici: se ne scrive, prima e dopo, sui ‘grandi’ quotidiani che consentono a pochi privilegiati (sempre gli stessi) anche di giudicare, prima e dopo, i concorsi.

          Ora, sempre sul ‘suo’ Corriere della Sera, Francesco Giavazzi torna ad occuparsi di tutta l’Università. Nel suo intervento, dopo essersi complimentato con il ‘suo’ Ministro per avere messo in un decreto-legge quanto da lui ‘preteso’ nel novembre del 2008 (“da un giorno all’altro fece saltare migliaia di concorsi universitari”), egli si lamenta del ritardo con quale il DDL governativo sull’Università è stato presentato dal Governo  (“nove mesi, un tempo perduto senza alcun motivo”).  Quindi egli suggerisce alla maggioranza di non farsi “scrupolo nell’usare il voto di fiducia” anche per questo provvedimento. Poi Giavazzi si inventa che il DDL “è un passo avanti soprattutto nelle nuove modalità di reclutamento”, che darebbero fastidio ai “vecchi baroni”.  Poi ancora ‘la mette in politica’, ipotizzando che “l’iniziale popolarità (ma dove vive Giavazzi?) del ministro lombardo dell’Università ha preoccupato la Lega”.  Alla fine ne indovina (quasi) una, quando gli viene il sospetto che “il governo ha semplicemente scelto di lasciar morire l’università per lento soffocamento.”

           Già nel luglio del 2009, sempre sul ‘suo’ Corriere della Sera, Francesco Giavazzi aveva espresso la sua preoccupazione per il fatto che “il varo di quella legge (il DDL sull’Università, ndr) viene rimandato di settimana in settimana, immagino perché interessi forti vi si oppongono: rettori (ma dove vive Giavazzi?), vecchi baroni, anche grand commis che reggono il suo ministero.”

          Non sarebbe nemmeno il caso di commentare queste sparate se non fosse che in Italia le leggi sull’Università le fanno da sempre gli accademici-opinionisti e la CRUI, seguendo le direttive della Confindustria e con il contributo di tutti i Gruppi parlamentari. Al grido di dolore di Giavazzi (e della CRUI) ha già prontamente risposto il sen. Gaetano Quagliarello, vice capogruppo del PDL, che gli ha assicurato che “il Senato voterà la riforma dell’università prima della pausa estiva”.  A ruota Silvio Berlusconi ha affermato: ” E’ fondamentale approvare al più presto la riforma universitaria voluta da Mariastella Gelmini che approderà tra breve al Parlamento” e ancora: ” E’ una riforma  che introduce più trasparenza nei corsi di laurea, che dice basta ai concorsi truccati, a parentopoli, che limita a 8 anni gli incarichi dei rettori. E’ una riforma che va nella giusta direzione. Mariastella Gelmini ha consultato tutti e se c’è una riforma che nasce dalla gente (Confindustria, CRUI, accademia che conta del PD e del PDL, ndr) è quella della Gelmini sulle università” (da ADN Kronos notizie). Quello del Presidente del Consiglio è un vecchio spot già piu volte riprodotto dalla ‘grande’ stampa e già utilizzato dal Ministro e dal Presidente di Confindustria.  E’ evidente che nessuno dei tre ha letto il DDL.

          E mai nessuno (stampa, CRUI, Gruppi parlamentari) si preoccupa di prendere in una qualche considerazioni le denunce, sostenute da un crescente movimento di protesta, sui reali contenuti e sui veri obiettivi del DDL: ‘aslizzazione’ degli Atenei con immensi poteri ai Rettori e ai loro ristretti gruppi di accademici integrati da esterni, commissariamento tramite l’ANVUR dell’intero Sistema degli Atenei, emarginazione/chiusura della maggioranza delle Università statali a beneficio di meno di venti Atenei presunti eccellenti, aumento del localismo e degli annessi fenomeni di nepotismo e di clientelismo nel reclutamento e nella carriera dei docenti, emarginazione di oltre un terzo dell’attuale docenza (i ricercatori) che viene messa ad esaurimento per allargare a dismisura il numero dei precari e allungarne il periodo di precariato. Tutto questo con un provvedimento che è ancora una volta pasticciato, come tutti i precedenti che stanno portando alla morte dell’Università pubblica: finta autonomia finanziaria, finta autonomia statutaria, controriforma del CUN, finti concorsi locali, devastante “3 + 2”, progressiva riduzione dei finanziamenti, ripetuto blocco dei concorsi, espansione senza limiti del precariato. Tutti questi provvedimenti sono stati elaborati dai soliti ‘apprendisti stregoni’, sempre in attuazione del progetto di Confindustria di gestione privatistica/aziendalistica delle Università.

 

3 comments for “Giavazzi ora vuole subito il DDL. A ruota Quagliariello e Berlusconi.

  1. Graziano
    21 giugno 2010 at 17:01

    Il Tribunale Amministrativo ha accolto il ricorso per P.O., ritenendo che nel concorso si fossero verificati “errori di giudizio da parte della Commissione giudicatrice che presentavano vizi di assoluta irrazionalita’ e irragionevolezza”, sia in merito alla valutazione dell’attivita’ didattica svolta , sia all'”impact factor” delle pubblicazioni su riviste internazionali.

    Il Consiglio di Stato ha confermato tale sentenza, e l’annullamento del concorso, tra l’altro affermando che: “(…) è oggi pacifico che si tratta di valutazioni (delle commissioni – ndr) pienamente sindacabili dal giudice amministrativo, sia sotto il profilo della ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità che sotto l’aspetto più strettamente tecnico”.

    Finisce cosi’, definitivamente, il potere insindacabile delle commissioni giudicatrici, che di fatto potevano nascondersi e difendersi dietro il concetto che il loro giudizio fosse inattacabile dai giudici, che si dovevano limitare a giudicare eventuali vizi di forma delle procedure concorsuali.

    Infatti, il Consiglio di Stato nella motivazione della sentenza aggiunge che: “(…) il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici della p.a. può oggi svolgersi in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, bensì alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo”.

    Non solo. Il Consiglio di Stato afferma l’importante principio che la valutazione delle commissioni giudicatrici deve tendere a individuare i candidati più meritevoli, a prescindere dalle modalità e dal luogo dove essi abbiano conseguito titoli di merito, in Italia oppure all’estero.

    Per quanto concerne il giudizio negativo della commissione in merito all’attività didattica svolta , il Consiglio di Stato, infatti, osserva che una simile valutazione sull’affidamento di incarichi di insegnamento e di lezioni avviene sulla base del merito del professore, con la conseguenza che in università particolarmente prestigiose insegnano solo professori che, a prescindere dai titoli formalmente conseguiti, siano ritenuti “meritevoli” di svolgere l’attività didattica”.

  2. graziano
    1 agosto 2010 at 18:28

    Si prevede poi la abolizione degli automatismi retributivi, estendendo una innovazione già introdotta con emendamento parlamentare al già ricordato decreto-legge n. 180 del 2008, convertito dalla legge n. 1 del 2009. Sono altresì contemplati incentivi alla mobilità. In questo contesto si inserisce la valutazione delle politiche di ateneo nei confronti delle chiamate del personale docente e ricercatore, con conseguente differenziata attribuzione delle risorse. Un altro passaggio importante è costituito dall’accreditamento degli atenei e dal commissariamento di quelli in stato di dissesto finanziario, così come già auspicato dal disegno di legge n. 1387 della maggioranza.
    Sul reclutamento si introduce la abilitazione scientifica nazionale a lista aperta, con commissioni estratte a sorte all’interno di liste di professori di prima fascia la cui produzione scientifica sia stata valutata positivamente secondo parametri fissati dall’Anvur.
    Le chiamate con conseguente assunzione in servizio saranno effettuate poi a livello locale.
    Si definisce la categoria degli assegni di ricerca con previsione di tutela previdenziale e con regime fiscale agevolato.
    Con riguardo ai ricercatori a contratto si stabilisce un meccanismo affine alla cosiddetta tenure track, con possibilità cioè di immediata assunzione in servizio per quei ricercatori titolari di contratto rinnovato che entro e non oltre la scadenza di tale contratto abbiano conseguito la abilitazione scientifica nazionale.
    Se queste, in sintesi, sono le principali novità introdotte dal disegno di legge, vanno ora ricordate le principali criticità denunciate nel corso del dibattito.
    Innanzitutto un eccesso di prescrittività, che in particolare con riguardo al settore strategico del reclutamento dei docenti e dei ricercatori rischiava di rendere evanescente proprio il valore «autonomia» oltre a rendere eccessivamente complessa la procedura.
    Con riferimento alla governance, eccessivamente burocratico e contraddittorio è risultato il meccanismo di scelta del rettore; rischioso, oltreché poco rispettoso della autonomia degli atenei, l’obbligo generalizzato di una governance duale; troppo evanescenti le competenze del senato ridotto ad una imago sine re; poco funzionale ad esigenze di buon governo l’assenza dei rappresentanti dei dipartimenti nel senato accademico; eccessivamente prescrittive le disposizioni sulla governance interna.
    Eccessivamente burocratiche e difficoltose apparivano anche le procedure di selezione per l’accesso al fondo per il merito, per cui non vi era fra l’altro nemmeno la previsione di un obbligo di finanziamento pubblico. Circa lo stato giuridico, non opportuna è apparsa la delega, fra l’altro priva di adeguata determinazione di criteri e princìpi direttivi; senz’altro impraticabile l’obbligo di 1.500 ore con la conseguente verifica dell’effettivo svolgimento entro tale monte ore di corrispondenti ore di ricerca e studio. Il rischio era che la quantità prevalesse sulla qualità. Un conto è invero la didattica, per la cui adeguatezza il criterio orario è essenziale, un altro la ricerca, che va valutata sui risultati non su quanto tempo vi sia stato dedicato.
    Troppo burocratico e farraginoso è il meccanismo volto a incentivare la mobilità, così come potenzialmente discriminante la mancata previsione della chiamata diretta per i ricercatori a tempo indeterminato.
    Ai ricercatori a contratto occorrerebbe poi dare prospettive più certe per il loro futuro.
    Le procedure di chiamata locale andavano radicalmente semplificate così come occorreva introdurre un controllo sulle chiamate dei professori a contratto. Infine è parso indispensabile consentire la vigenza delle norme attualmente in vigore sulle assunzioni ivi comprese quelle per trasferimento per evitare il blocco di chiamate e trasferimenti.
    Sono infine auspicabili una maggiore flessibilità nella governance per le università virtuose e una maggiore flessibilità nella articolazione dei compiti di ricerca e di didattica, al fine per esempio di rendere possibile la creazione all’interno degli atenei di centri di ricerca con personale ad essa prevalentemente dedicato.
    Senz’altro indispensabile, per un’efficiente gestione degli atenei, appare anche la eliminazione dei controlli preventivi della Corte dei conti.
    se persino il relatore vede queste storture
    appare giusto che tale riforma finisca con la legislatura chiusa a settembre con a casa i deputati
    adesso vediamo chi va il voto certamente nel al PDL ne al PD complice di aver liquidato i precari e ricercatori.

  3. Graziano
    8 novembre 2010 at 11:14

    parlare di fondi,

    1 miliardo e 355 milioni erano i tagli del 2011 e ne rientrerebbero soltanto 700 milioni perché il resto del “miliardo” andrebbe parzialmente a riparare il drastico taglio al diritto allo studio e altre voci di spesa.
    Anche con i soldi “concessi” da Tremonti l’università subirebbe un taglio pari a più del doppio di quella che ha sofferto nel 2010.
    Una proposta indecente

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