Il fallimento del “3 + 2″

= 22.9.10. Il Decreto Ministeriale sui “requisiti necessari per i corsi di studio”.

= 20.9.10.  Il “3 + 2″ e i “maldestri ministri becchini”. Luigi La Spina sulla Stampa: il “3 + 2″ è il frutto della “volontà dei vari ministri che si sono succeduti su quella poltrona di iscrivere il proprio nella storia delle ‘svolte epocali’ di questa istituzione. Con il risultato di rischiare di essere ricordati come i volenterosi ma meldestri becchini del futuro di tanti giovani”. La Spina conclude affermando che “questo pessimo bilancio della più importante riforma che si è abbattuta sugli atenei italiani, però, sembra non insegnare nulla ai successori di quelli sciagurati portatori di questa insana febbre riformista che, come un contagioso focolaio di pericolosi germi, infetta inesorabilmente i ministri competetenti (?!)”. Sulla stessa questione Salvatore Carrubba sul Sole 24-ore: il “3 + 2″ “è il frutto dell’eterna illusione di fare le riforme a tavolino, inseguendo modelli astratti”. L’ANDU da anni documenta il disatro del “3 + 2″ e, inascoltata, invita i Ministri a monitorarlo e intervenire.

= Segnaliamo l’intervento di Pietro Greco “L’università del ‘3 + 2′. Un’incompiuta perchè senza soldi” sull’Unità del 3 maggio 2010.

= Segnaliamo  l’intervento di Angelo Panebianco “Contro la ‘laurea breve'”  su Sette del 29.4.10.

         Anche la Corte dei Conti (v. articolo su Repubblica del 20.4.10) su ha preso atto del fallimento del “3 + 2” imposto dal ‘gruppo’ di Luigi Berlinguer. Segnaliamo anche un articolo sul Manifesto che riesce a non nominare Luigi Berlinguer, padre della ‘riforma’ fallita.

          Le critiche puntuali alla “riforma Berlinguer” sono state avanzate da tanti e da tanto tempo, ma inutilmente. Tutti i Ministri (Moratti , Mussi, Gelmini) non ne hanno voluto prendere atto e nulla hanno fatto per monitorare e correggere la ‘riforma’, difesa ancora oggi, contro ogni evidenza, dal ‘gruppo’ di Berlinguer.

          Lo stesso ‘gruppo’ ha imposto anche i finti concorsi locali e ora sostiene il DDL governativo, che e’ sostanzialmente lo stesso dei quello presentato poco prima dal PD e sostenuta anche ufficialmente da questo Partito, come la Confindustria.

          Sul “3 + 2”, l’ANDU in questi anni ha ‘ospitato’ un ampio dibattito e ha avanzato delle proposte.

17 comments for “Il fallimento del “3 + 2″

  1. Graziano
    20 aprile 2010 at 12:15

    corsi di laurea in crisi, fallimenti plateali dell’offerta formativa, libri bianchi di denuncia del sistema reclutamento,hanno annunciato la crisi di qualità dell’offerta formativa “anche in termini di spendibilità del titolo nell’ambito dello spazio comune europeo,e nelle nostre regioni” Non contenti i nostrani parlamentari presentano un DDL governativo che vuole di fatto abolire l’art 31, 21 della costituzione in un clima costruttivo con l’opposizione autore di tale fallimento.
    Adesso però il conto lo paghino coloro che hanno responsabilità . sed lex dura lex.

  2. Troisi Luigino
    20 aprile 2010 at 14:40

    Con la riforma del 3+2 abbiamo laureato “tutti”, appiattendo in basso il liveli culturale dei nostri giovani.
    a) Quelli considerati non bravi si laureano ugualmente anche se con qualche difficoltà, ma senza avere una cultura adeguata alla propria Laurea
    b) Quelli cosiderati “bravi”, avendo scoperto che si può lavorare di meno e ottenere lo stesso risultato, non arrivano agli elevati livelli a cui potrebbero.
    Il risultato è quindi disastroso e giustamente i nostri laureati perdono il confronto con gli stranieri.

  3. paolo bertinetti
    20 aprile 2010 at 15:14

    L. BERLINGUER HA ABOLITO L’AGGETTIVO “PUBBLICA”
    di Paolo Bertinetti dell’Università di Torino

    Berlinguer è stato il peggior Ministro della Pubblica Istruzione dall’Unità d’Italia alla Moratti. Che infatti (al di là dell’ovvio presupposto ideologico), dato l’operato dell’ineffabile ex-Rettore di Siena, ha potuto abolire tranquillamente l’aggettivo “pubblica” della denominazione del Ministero suddetto.

  4. 20 aprile 2010 at 15:38

    GLIELO AVEVO DETTO A L. BERLINGUER, MA ….
    di Paolo Manzelli

    Putroppo Luigi Berlinguer e’ stato sordo a molte indicazioni di allora compagni del PCI che come me gli dicevano, ancor prima che facesse il danno, che a costo ZERO la attuazione della laurea breve sarebbe stata un fallimento. Mi ricordo che riuscii a litigare con Luigi su questa tematica sia ad un convegno Pubblico a Napoli che in occasione di una sua venuta a Firenze come Ministro per le elezioni regionali di anni fa. Mi ricordo che mia moglie mi disse , ma come conosci il Ministro e ci vai a litigare invece di chiedergli favori cosi come fanno gli altri.
    Ma ormai non c’era piu nulla da fare arrivati al potere di Governo i Comunisti si comportavano come gli altri e non sentivano piu’ consigli se non da quelli che li corteggiavano per propri interessi di carriera.

    Questo e’ cio che posso dire come vissuto; chiaramente io ero fra quelli che dicevano, caro Ministro ma se già i nostri Laureati dopo una laurea di 5 anni non trovano lavoro, perchè lo dovrebbero trovare dopo una laurea breve? Ed inoltre se favorirai un cambiamento della didattica Universitaria a costo zero, tu farai aumentare a dimisura lo fruttamento del precariato!
    Ma putroppo ai sordi imbevuti di potere di Governo e’ inutile parlare, non riflettono piu’ non condividono nulla con i compagni, e non stanno a sentire più nessuno, …. e così la sinistra crollo’ ormai nella piu inutile e residua esistenza contemporanea come PD. Mi dispiace ma putrroppo una inversione di tendenza non la vedo ancora possibile. paolo manzelli
    pmanzelli@gmail.com ; http://www.edscuola.it/lre.html

  5. rinaldo
    20 aprile 2010 at 15:51

    L. BERLINGUER, NOI DOCENTI E LA MORATTI
    di Rinaldo Cervellati dell’Università di Bologna

    Leggo regolarmente la newsletter dell’ANDU e la rassegna stampa e vi faccio subito i miei complimenti. Continuate così a tenerci informati.
    Solitamente sono restio a esprimere commenti, faccio parte, credo, di una minoranza che tenta di ragionare in modo obiettivo e, si sa, è meglio per questa minoranza il silenzio.
    Però è da tanto che vorrei esprimere un’opinione ‘globale’ sulla ‘famigerata’ riforma Berlinguer, però nel suo complesso.
    Poichè la memoria degli italiani è corta, anzi cortissima, vorrei ricordare che la riforma del 3+2 faceva parte di un più ampio progetto di riforma di tutta l’istruzione media e superiore. Secondo questo progetto la scuola media doveva ‘scomparire’, assorbita in un primo ciclo di otto o sette anni, seguito da un ciclo secondario praticamente ‘licealizzato’. Poteva piacere o meno (a me personalmente la ‘scomparsa’ degli istituti tecnici industriali non piaceva per niente), però sta di fatto che Il 3+2 doveva perciò essere funzionale a questa riforma, di modo che la laurea triennale avrebbe formato i periti (chimici, elettronici, edili, commerciali, ecc.,), avendo come modello l’ingénieur francese, e il biennio aggiuntivo le lauree come dovrebbero essere intese. Ma la maggioranza dei docenti, particolarmente quelli della scuola ‘media’ si ribellarono fortemente a questa riforma, mentre noi accademici che già vedevamo posssibilità di ‘moltiplicazione’ dei posti e delle triennali (senza +2) raccomandammo che l’esperimento 3+2 andasse avanti. Cambiato il governo, la sig.ra Moratti, nuovo ministro, accolse le richieste dei docenti della ‘media’ e delle ‘superiori’ come pure quella degli accademici. Il risultato non poteva altro che essere il fallimento del 3+2 come ampiamente dimostrato.
    Tutto ciò per amor di chiarezza, non certo per difendere Berlinguer o chicchessia.

  6. 20 aprile 2010 at 17:15

    E’ COLPA DEI DOCENTI
    di Piero Vereni

    Ho iniziato a insegnare il primo anno (allora facoltativo) della riforma, e ho insegnato, sempre a contratto, per dieci anni facendo il giro di diversi atenei. Da un paio d’anni sono ricercatore (con 120 ore di carico didattico, of course). Sulla base della mia esperienza, direi che il fallimento del 3+2 (che altro non era che l’adeguamento al modello più comune in europa e usa, che non erano certo dietro noi come qualità dell’università per ricerca e didattica, e ancora non lo sono) è stato causato dall’incapacità dei docenti di applicarla. Molti hanno continuato a pensare e praticare la didattica come se si fosse ancora nel vecchio ordinamento, e altri hanno fatto proliferare corsi, facoltà e addirittura atenei senza alcuna programmazione didattico-scientifica, senza alcun coordinamento ma con il solo intento di moltiplicare seggiole (dato che le cattedre, almeno nominalmente, erano state fatte sparire) e poterucoli da strapazzo.
    Non c’è una riforma che possa funzionare, di nessun colore politico, di nessuna ispirazione scientifico-pedagogico-didattica se non ci si prova a realizzarla. Prendersela con Berlinguer mi sembra semplicemente assurdo. Il nuovo ordinamento ha reso l’università più aperta, ha dato accesso a nuovi soggetti che prima mai si sarebbero avvicinati, ma noi docenti non siamo stati in grado di farcene carico. Si trattava di pensare veramente l’università in modo nuovo, ma per pensarla tale toccava cominciare a FARE l’università in modo diverso (didattica più organizzata, corsi mirati con obiettivi certi e non il solito docente/pastore che porta le sue pecore in giro per sei mesi senza una meta chiara; ricerca finanziata secondo i progetti, non a pioggerellina).

  7. Felice Rappazzo
    21 aprile 2010 at 09:38

    “3 + 2″: UNA FOLLIA IMPOSTA
    di Felice Rappazzo dell’Università di Catania

    Ma davvero c’è ancora chi, in buona fede, difende il 3+2? È senz’altro vero che esso è stato applicato male da molte Università e da molti corsi di studio; è senz’altro vero che molti docenti e molte strutture hanno colto l’occasione per lasciar proliferare corsi e “posti”. Ma il pesce puzza dalla testa: è l’idea sbagliata e deviante, presuntuosa e vacua, in sé. Mettere poi nelle mani di una casta, vera o presunta,un meccanismo fin dalle radici chiaramente ammalorato è stata una follia, o un crimine culturale. Nessun miglioramento didattico, corsi ripetuti, nessun allineamento fra il “3” e il “2”, nessuna proiezione sul mercato reale del lavoro (a parole, il vero obbiettivo della pseudoriforma). Niente di ciò era previsto dal 3+2. Follia credere che si sarebbero moltiplicati i posti di lavoro solo con la riduzione e la frantumazione dei saperi; follia far finta di credere che certi comparti, tradizionalmente organici, dovessero essere scomposti (o decomposti). Sarebbe questa l’idea di riforma, e di modernità? Come avrebbero dovuto interpretare “modernamente” questa innovazione, i docenti? Innestata a freddo e senza reale dibattito, anzi di nascosto fra le pieghe di una finanziaria, nella normativa dell’Università, essa è stata una delle più gravi azioni di arroganza e stupidità del centro-sinistra progressista e illuminato. Poi si perdono le elezioni! La Moratti ha dovuto faticare non poco per trovare strumenti di peggioramento a questa riforma. L’attuale Governo ha capito bene che bastava togliere il nutrimento (ossia le miserande risorse)per perseguire lucidamente l’obbiettivo della distruzione del sistema formativo pubblico: e procede cinicamente, ampliando l’autostrada tracciata da altri.
    E ancora c’è chi, a ogni occasione, osa tirarsi fuori dal nido per difendere questa follia.
    Felice Rappazzo, Università di Catania

  8. Graziano
    21 aprile 2010 at 10:28

    Così la Corte dei Conti, nel suo Referto sul sistema univeristario, smonta la riforma del 3 +2 (forse sarebbe meglio dire del 3 x2), voluta dal ministro Luigi Berlinguer, che durante i governi Prodi e D’Alema ha provveduto a dimostrare che politicamente non onora il cognome che porta e che le riforme tanto evocate spesso fanno solo danni.

    La riforma universitaria che ha ridotto la durata del corso di laurea a 3 anni con una specializzazione di 2 anni è stata contestata, ai tempi, da tutte le sigle studentesche: era evidente a tutti che si trattava di un fallimento . Il disegno prevedeva di diminuire i fuoricorso grazie alla riduzione e alla rimodulazione del percorso accademico. Nella realtà ha creato un sistema di istruzione penoso, in cui la laurea triennale conta lo stesso numero di esami della vecchia quadriennale, ma con programmi di studio spesso ridicolmente brevi. In più, per ottenere un titolo di studio decente, ora invece di 4 anni ne servono 5.
    Ma leggiamo ancora cosa scrive la Corte dei Conti:a fronte di un dato sostanzialmente stabilizzato del numero degli iscritti nell’ultimo quinquennio su un valore di poco superiore a 1.800.000 unità, rilevante è ancora la cifra relativa alla quota degli abbandoni dopo il primo anno, pari nell’anno accademico 2006-2007 al 20 per cento, valore questo sostanzialmente analogo a quello registrato negli anni precedenti la riforma degli ordinamenti didattici…. Il numero complessivo dei corsi di studio è andato progressivamente aumentando sino a tutto l’anno accademico 2007-2008, raggiungendo un numero di 5.519 corsi attivi di I e II livello a fronte di 4.539 corsi attivi di I e II livello nell’anno accademico 2003-2004, in conseguenza dell’effetto moltiplicativo dato soprattutto dalla crescita esponenziale dei corsi di laurea specialistica passati da 1.204 nell’anno accademico 2003-2004 a 2.416 nell’anno accademico 2007-2008…. Al forte aumento dell’offerta formativa si aggiungono anche il rilevante fenomeno dell’incremento delle sedi decentrate e il peso via via crescente negli ultimi anni assunto dai professori a contratto esterni ai ruoli universitari (con un aumento del 67 per cento tra l’anno accademico 2001-2002 e l’anno accademico 2007-2008)…. Scende in ogni caso la quota degli iscritti fuori corso (40,7 per cento nell’anno accademico 2006-2007 contro il 35,91 per cento nell’anno accademico 2007-2008).
    Proprio un bel successo per il ministro Berlinguer, giustamente premiato con un posto al Parlamento europeo.

  9. Claudio Baraldi
    21 aprile 2010 at 20:07

    IL “3 + 2″ E’ EUROPEO
    di Claudio Baraldi dell’Università di Modena

    Nel pieno rispetto delle vostre opinioni, vi ricordo che la riforma del 3+2 non è il prodotto del “gruppo Belinguer”, ma del processo denominato di Bologna, dal nome della città in cui è stato stabilito un accordo europeo che mirava e mira a favorire la trasferibilità degli studenti in Europa. Si può discutere fin che si vuole dell’insuccesso o dei limiti della riforma, ma mi pare incontestabile che si tratta del prodotto della politica europea, non di un gruppo di potere italiano. Mi auguro poi che conveniate quantomeno sul fatto che la mobilità degli studenti in Europa è importante. Non scrivo mai lettere di questo tipo: in questo caso scrivo perché lavoro da 10 anni nel quadro della riforma (e della sua riforma), prima come presidente di corso di laurea, da qualche tempo come preside, senza vocazione per il potere ma solo per il funzionamento dell’università, ne conosco molto bene i limiti e i pregi, sono d’accordo sui problemi del nepotismo e della carenza di democrazia, ma mi dispiace molto leggere inesattezze e attacchi gratuiti. La mia esperienza personale mi dice che per cambiare cultura universitaria ci vuole tempo, tenacia, capacità di gestire i conflitti attraverso il dialogo e che certamente è bene evitare toni e atteggiamenti violenti che riproducono proprio le logiche che si vorrebbe “demolire”.

    Cordiali saluti

    Prof. Dr. Claudio Baraldi

  10. Michele De Bortoli
    22 aprile 2010 at 08:15

    ATTACCARE IL “3 + 2″ E’ MESCHINO
    di Michele De Bortoli dell’Università di Torino

    Purtroppo, come al solito, la confusione regna sovrana. Il progetto della riforma dell’istruzione superiore, che viene attribuito a questo o quell’ex-ministro (con toni da bar sport), fu concordato tra tutti i ministri europei con il processo di Bologna più di dieci anni fa. L’obiettivo era (e resta) quello di costruire un sistema di comparablità e di accreditamento dell’istruzione universitaria, che è un requisito essenziale (non politico) dell’integrazione comunitaria e del confronto con il resto del mondo.
    La confusione è nei termini. Un livello intermedio di uscita dall’università è presente nella maggior parte dei sistemi universitari europei ed extra-europei. Il nostro problema è semplicemente che abbiamo voluto agganciare al primo livello di uscita il titolo di “dottore”: nessun altro paese occidentale si sogna neppure di ritenere “laureati” coloro che compiono il primo livello di istruzione. Questo ha ingenerato false attese in sede di valutazione (vedi il commento della Corte dei Conti), grande confusione a livello del mondo del lavoro, incertezza ed instabilità nel mondo accademico e sconcerto tra gli studenti.
    Ulteriore confusione: in tutte le discussioni, ci si dimentica regolarmente di nominare il terzo livello di istruzione universitaria, che da noi si chiama dottorato di ricerca (o in qualche caso, specializzazione). Nella maggior parte dei paesi con cui ci troviamo a competere, le “professioni” richiedono il titolo di terzo livello.
    Tutti si riconosce i gravi e preoccupanti problemi dell’istruzione universitaria di oggi. Personalmente, ritengo che si debba riflettere e lavorare con il massimo impegno, a tutti i livelli, per sanare le mille piaghe e correggere le mille storture antiche e recenti. Mi pare però che un attacco all’unica riforma sostanziale che abbiamo realizzato negli ultimi cinquant’anni, per di più concordata in sede europea, sia non solo meschino, ma anche fondamentalmente inutile.
    Michele De Bortoli
    Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
    Università degli Sudi di Torino

  11. 22 aprile 2010 at 12:18

    NON SIAMO RESPONSABILI ALLO STESSO MODO
    di Marinella Lorinczi dell’Università di Cagliari

    E’ già abbastanza evidente che dopo i pronunciamenti della Corte dei Conti – che se aveva il compito di pronunciarsi avrebbe dovuto farlo prima e continuativamente a partire dai primi anni di riforma – si sta instaurando un clima da resa dei conti (mi scuso per il bisticcio che era del tutto involontario ma è invece calzante, credo). La cosa è comprensibile dal momento che le posizioni di responsabilità maggiore sono ai vertici della piramide e i vissuti personali drammatici alla base. In mezzo ci sarebbe dovuta essere la gestione democratica e graduale, la condivisione documentata e paziente delle problematiche. Non è stato così. In nome di principi e norme che potevano essere o sembrare buoni e opportuni, si è sviluppata una applicazione scomposta miope e non disinteressata, dove chi voleva capire e agire con circospezione, dunque senza fretta, è stato tacciato da disfattista, da rematore contro, da chi sputa nel piatto dove mangia. Si è fatto a gara, tra gli atenei, a fare i pionieri della riforma e gli stachanovisti della didattica, da un lato spezzettata in corsettini (donde gli oltre 30 esami della triennale) da un altro gonfiata oltre ogni ragionevolezza (donde la quantità e il costo dei contratti esterni e l’incremento dei carichi didattici per gli strutturati). Comunque sia, il concetto di responsabilità collettiva e indistinta non è tollerabile se predicata da chi aveva e ha il compito di vigilare. Non si dovevano approvare i continui cambiamenti di statuto per prolungare le cariche elettive, i revisori dei bilanci dovevano mettere in allarme per tempo, si doveva insomma dare voce a tutti. Se l’attenzione fosse stata continua e qualificata e i risultati fossero stati lo stesso deludenti, allora sì che ci sarebbe una responsabilità collettiva di tutte le parti in causa. E ci metteremmo l’anima in pace: ci abbiamo provato ma non ce l’abbiamo fatta. Credo che i politici non sappiano e non vogliano rendersi conto di quale inferno è stato certe volte quest’ultimo decennio. Di quanto siamo stufi, schifati ed esausti.

  12. Riccardo Dottori
    22 aprile 2010 at 18:55

    RIPARTIRE SU NUOVI BINARI
    di Riccardo Dottori, Presidente del CCL in Filosofia di Roma Tor-Vergata

    Che il 3+2 sia statro un fallimento lo sappiamo tutti; ma non si tratta solo del 3+2, si tratta di tutto il sistema dei moduli e dei crediti, che non permette più di organizzare dei corsi che siano veri corsi annuali, con tanto di programma istituzionale oltre che l’argomento del corso, con seminari che arricchiscono il Corso, e altre attività. Gli studenti non accettano più nulla che non porti loro dei crediti, così che dove prendo da una parte pretendono poi di tagliare dall’altra. In questo modo il livello della istruzione universitaria è enormemente scaduto, soprattutto per quanto riguarda il triennale, che non più chiamarsi una laurea, mentre si riconosce addirittura a che la ha il titolo di “dottore”. La propensione di tutti costoro ad iscriversi alla biennale è di uno su tre o su quattro, a volte anche su cinque, così che diventa enormenente difficle organizzare i corsi magistrali.
    Ora è inutile stare a discutere di chi sia la colpa della introduzione del 3+2, se di Berlinguer o della Moratti, e quali siano stati i motivi per cui si creduto nel 3+2 (io non vi ho mai creduto). Ciò che è importante invece, anzi sommamente importante, è avere il coraggio di tornare indietro, non nel semplice segno del ritorno al passato; l’esperienza che abbiamo fatto del 3+2 ci ha insegnato qualcosa, ad esempio che c’è modo e modo di fare una tesi di laurea. Facciamo uso della esperienza fatta, e optiamo per una laurea quinquennale, con una tesi di laurea che dia un titolo di dottore che sia meritato!
    Recriminare non serve, bisogna avere il coraggio non di tornare indietro, ma di ripartire sui nuovo binari, imponendoci nella nostra Università sulla base della autonima univesitaria, e cominciando noi, sapendo imporre la nostra volontà contro il ministero, senza aspettare riforme-carrozzoni prossimi venturi.
    Riccardo Dottori, Presidente del CCL in Filosofia di Roma Tor-Vergata

  13. Graziano
    23 aprile 2010 at 08:47

    la Corte Costituzionale ha avuto occasione di affermare che “l’autonomia accademica si traduce in definitiva nel diritto di ogni singola università a governarsi liberamente attraverso i suoi organi e, soprattutto, attraverso il corpo dei docenti nelle sue varie articolazioni, così risolvendosi nel potere di autodeterminazione del corpo accademico (cosiddetto autogoverno dell’ente da parte del corpo docente)” (Corte cost., n. 1017 del 1988).
    Orbene quando le singole universita con il rispettivo nucleo di valutazione dopo la prima verifica costatavano il fallimento delle lauree triennali occorreva nel rispetto dell’autonomia universitaria fermarne l’applicazione .Di chi è la responsabilità.

  14. Marco, ricercatore di Ingegneria Informatica
    29 aprile 2010 at 13:42

    NO ALL’ATTACCO GENERALIZZATO AL “3 + 2″
    di Marco Prendini dell’Università di Bologna

    Sono solitamente sulla stessa lunghezza d’onda dell’ANDU, ma come (pochi) altri dopo aver molto letto mi decido a scrivere un’opinione personale.
    Trovo che l’attacco continuo e generalizzato al 3+2 non sia condivisibile per un motivo di fondo: fa il gioco populista di chi predica la meritocrazia e l’efficienza e poi abbatte la scure di riforme punitive in modo indiscriminato.

    Cerchiamo almeno noi che conosciamo il sistema da dentro di avere la lucidità ed il raziocinio per ammettere che non si può fare di tutta l’erba un fascio.

    Sono il primo a riconoscere che per molte sedi “allegre” sia stata l’occasione per far proliferare corsi inutili. Nella nostra i corsi non sono proliferati: non puniteci se altri hanno abusato dell’autonomia, togliendola a tutti.

    Riconosco altresì che in alcuni settori disciplinari possa non avere senso la creazione di una figura intermedia. Sono però colpito dal fatto che non si citino mai quei settori, ad esempio, in cui da anni le imprese chiedevano il “superperito”, e che, almeno nel caso di cui ho esperienza diretta, hanno beneficiato significativamente dell’introduzione del primo livello di laurea, *sia a livello culturale che occupazionale*.

    Per favore, non parliamo di lauree appiattite verso il basso senza conoscere tutti i contesti: io non mi permetterei mai di farlo per settori di cui non ho competenza, e mi ferisce che nel calderone delle critiche generali, il mio settore finisca per essere accusato da colleghi che non hanno idea di cosa noi facciamo… soprattutto che non hanno idea di quanta fatica ci è costato cogliere l’introduzione del 3+2 come seria occasione di miglioramento del corso di laurea, e non come mera opportunità di richiedere più risorse.

    Un saluto cordiale a tutti quelli che, qualunque posizione sostengano, mostrano su queste pagine di aver a cuore l’università pubblica.

  15. Michele De Bortoli
    20 settembre 2010 at 10:32

    Noto con rammarico che regna la confusione. Primo, la riforma tre+due è una cosa che vien fuori dal processo di Bologna, al quale partecipano quasi tutti i paesi europei ed alcuni limitrofi. Secondo, il principale problema del tre+due italiano è stata la definizione di “laurea” con tanto di titolo di dottore, voluta dal centro-destra, per i triennalisti. Nessun altro paese al mondo in cui esiste un sistema a livelli (ricordo che Inghilterra, Stati Uniti, Francia etc hanno un sistema a livelli da tantissimo tempo) si sogna di conferire un titolo di dottore a chi ha terminato il percorso del primo livello.
    Terzo, le riforme nel nostro paese falliscono non perchè siano “imposte” (non lo sono, o meglio lo sono soltanto per ci si guarda bene dal partecipare alle infinite fasi di discussione e di istruzione che ci sono state anche nel caso del tre+due), ma perchè mancano le risorse per attuarle.
    Difendo a spada tratta il tre+due perhè consente mobilità e -soprattutto- uscita dall’Università a metà percorso, e propongo di mobilitarsi per abolire il titolo di dottore triennale, unico metodo per capiri con il mondo del lavoro.

  16. Giovanni Falaschi
    20 settembre 2010 at 21:51

    Credo che l’istruzione sia da affrontare in modo globale, quindi occorre che fin dalle scuole elementari si studi meglio (ma i proff. delle scuole medie inf. e superiori sono laureati nostri, e non credo siano mediamente colti come i vecchi insegnanti. un cane che si morde la coda!).
    constato che gli studenti arrivano a iscriversi alla triennale già notevolmente ignoranti, come si vede dagli elaborati scritti pieni di errori che “una volta” alle scuole elementari non si facevano. e certe cose o le si imparano da piccoli – come la lingua italiana e l’aritmetica (almeno quelle) – o non le si imparano più, cosa che anche si constata tutti i giorni.
    la laurea triennale in una Facoltà come Lettere non serve a nulla: non qualifica, dirozza appena, non seleziona, non dà accesso a nessun lavoro né in teoria né in pratica. ma ho ragione di credere che in particolari discipline molto specialistiche – come dice il collega Prendini di Ingegneria Informatica a Bologna – la laurea triennale invece possa essere ben fatta e utile.
    sì, certo, c’è da prendersela coi ministri perché sono responsabili politici delle leggi che passano. ma ci sono molti proff. universitari in parlamento e molti comunque all’Università. e si vede molto nepotismo in giro, più di sempre. insomma: pessimi ministri ma anche molti pessimi colleghi. c’è da essere ottimisti sul futuro dell’istruzione pubblica!

  17. Matteo Basso
    5 ottobre 2010 at 13:30

    La maggioranza di voi è costituita da individui vecchi, rancorosi, arroganti e presuntuosi. Come dice giustamente “Claudio Baraldi”, La riforma 3+2 è il tentativo (che è ancora in essere tra l’altro), di allineare la vecchia, antica, arretrata, arrogante e presuntuosa ITALIA al resto dell’Europa e del mondo. IN TUTTO IL MONDO ESISTE UN SISTEMA UNIVERSITARIO BASATO SU LIVELLO DOVE IL PRIMO LIVELLO E’ COSTITUITO DA CORSI DI 3-4 ANNI ED IL SECONDO DA CORSI DI 5-6 ANNI (+2O +3). Ancora voi volete vievere nel passato, volete tornare nel passato. Stateci voi lì ai giovani fateli andare in Europa e nel Mondo, fateli andare nel fututo. L’ITLIA è un paese decandente avvinghiato alla sua storia incapace di cambiare per il bene dei propri figli. Lasciatela dove stà.

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