“Gelmini: regole condivise, partiamo dall’Università”

AGGIORNAMENTO

Invitiamo a leggere l’interessante intervento di Marco Bascetta “La logica suicida e bipartisan del centrosinistra”, sul Manifesto del 29 dicembre 2009. Tra l’altro Bascetta scrive: “il ministro altro non  ha fatto che muoversi lungo la rotta tracciata, ormai molti anni orsono, da Zecchino e da quel Luigi Berlinguer del quale oggi riscuote il plauso.”  “Il sistema delle laure brevi, con il suo lessico bancario di debiti e di crediti, si è rivelato, per ammissione di tutti, un fallimento devastante tanto sul piano dell’occupazione quanto su quello della formazione culturale.” “Ma è mai possibile che i  tecnocrati e i sopraffini negoziatori del Pd alla Enrico Letta non riescano a capire ciò che è chiaro anche all’ultima matricola e cioè che i ‘tagli’ sono la riforma?”

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Segnaliamo l’intervista al ministro Gelmini “Gelmini: regole condivise, partiamo dall’Università”, sul Corriere della Sera del 23 dicembre 2009. Il Ministro ha, tra l’altro,  affermato: “Credo che la riforma dell’Università possa diventare il primo esempio di riforma condivisa con l’opposizione”. Un risultato ‘facile’ da raggiungere visto che la ‘riforma’ nei suoi due contenuti fondamentali (soprattutto ‘governance’ e localismo concorsuale) ha già la condivisione di Confindustria, PDL, PD e CRUI.

6 comments for ““Gelmini: regole condivise, partiamo dall’Università”

  1. paolo guidetti
    24 dicembre 2009 at 07:27

    LA RIFORMA NON PUO’ AVVENIRE DALL’INTERNO
    di Paolo Guidetti dell’Università del Salento

    Spero tanto in una forma condivisa, ma senza che si diluisca la fermezza che già questa contiene. E’ inutile girarci intorno, la riforma dell’Università NON può venire dall’interno, la classe dirigente universitaria non è in grado di riformare se stessa perché non vuole perdere alcun privilegio, soprattutto il controllo dei concorsi a spese dei più meritevoli. Sarebbe come chiedere ai taxisti di riformare il sevizio taxi. A parte altre piccole cose, il problema della presente riforma è che non aumenta il finanziamento alla ricerca ed Università, ma tante cose (e lo dice uno che non ha mai votato fino ad ora centrodx) sono più che condivisibili.

  2. 25 dicembre 2009 at 11:28

    AD ESAURIMENTO I PROFESSORI, NON I RICERCATORI
    di Vito D’Andrea dell’Università di Roma “La Sapienza”

    Credo che mettere ad esaurimento il ruolo dei Ricercatori sia sbagliato. L’Italia ha 2 Ricercatori per mille lavoratori, Francia, Germania e Regno Unito ne hanno 4 per mille, Giappone, Svezia e U.S.A. 6 per mille, Finlandia 7 per mille!
    I nostri Ricercatori sono pochi ma buoni: se consideriamo il numero di pubblicazioni scientifiche su ISI Web of Science rapportato al numero dei Ricercatori, tra i Paesi OCSE, l’Italia si colloca al 2° posto subito dopo il Regno Unito!
    L’Italia necessita di più Ricercatori a tempo indeterminato e meno Professori e non di più Professori e meno Ricercatori:
    è meglio mettere ad esaurimento le due fasce dei Professori ed istituire l’unico ruolo dei Professori Universitari anzichè mettere ad esaurimento il ruolo dei Ricercatori!
    L’Atto Camera 2460 della Lega Nord va in questa direzione, seguendo il modello tedesco: in Germania, locomotiva d’Europa, ci sono circa 37.500 Professori Universitari e circa 132.000 Ricercatori di ruolo!
    Vito D’Andrea*
    *Docente di Chirurgia Generale alla Sapienza
    *Medaglia d’Oro 2006 alla Sanità Pubblica

  3. 29 dicembre 2009 at 13:47

    Ho notato che c’è lo spazio per la fotografia: potreste scaricarla dal mio sito: http://www.VitoDandrea.it ? cliccando su C.V. appare la fotografia.
    Grazie, Auguri di Buon Anno!
    Vito D’Andrea

  4. 30 dicembre 2009 at 12:21

    LUIGI BERLINGUER E D’ALEMA
    di Paolo Manzelli

    Putroppo è stato proprio Luigi Berlinguer colui che ha iniziato a favorire il degrado dell’Università italiana e peggio ancoca D’Alema e questi suoi colleghi hanno dato il via al precariato con le loro iniziative sulla flessibilità del lavoro. Spero che la situazione fallimentare dell’Università sia in termini di occupazione che di formazione scientifica e cultuale possa essere discussa sulla base di una ampia condivisione del progetto conoscenza 2010 che ho iniziato a proporre in rete vedi in : http://www.edscuola.it/archivio/lre/progetto_conoscenza.pdf

    Un cordiale saluto e Buon Anno Paolo Manzelli pmanzelli@gmail.com

  5. Fabrizio Iacono
    30 dicembre 2009 at 17:45

    ASSOCIATI COME ‘ASSISTENTI’
    di Fabrizio Iacono dell’Università “Federico II” di Napoli.

    In relazione alla riforma universitaria sono pienamente daccordo con il prof. Vito D’Andrea. Che senso ha mettere ad esaurimento i ricercatori e istituire una terza fascia di professori che sarebbe la fotocopia delle prime due. Il ruolo “ricercatore” è un ruolo basilare e di ingresso nella struttura universitaria. Nel caso sarebbero da accorpare le 2 (inutili e sovrapponibili) fasce di docenza ad una sola. Spesso la seconda fascia che dal punto di vista giuridico è esattamente sovrapponibile alla prima viene mortificata e sovrastata dalla prima fascia che considera gli associati una sorta di “assistenti” da condizionare e comandare limitando in modo sensibile la libertà di ricerca e di didattica di questi ultimi. Esercitando una vera e propria attività di “mobbing” specialmente nelle facoltà mediche dove l’esercizio del ruolo didattico è condizionato dall’attività assistenziale nella quale il ruolo “primariale” è riservato agli ordinari.
    Fabrizio Iacono*
    *docente di ruolo di Urologia Univ. “Federico II” . Napoli.

  6. 31 dicembre 2009 at 10:38

    NON CI SONO DUE CULTURE
    di Giovanni Falaschi dell’Università di Perugia

    Il mio non è un commento ma una doléance su quanto manca al 99% degli interventi sull’Università, e che si può formulare così. Questo governo non solo tende a svilire l’istruzione statale a tutti i livelli, ma tende a ridurre la funzione culturale delle Facoltà cosiddette umanistiche. Dispiace ammettere che questa impostazione trova consenzienti molti che, proprio in quanto consenzienti, io ritengo essere degli pseudoscienziati. E’ l’impostazione purtroppo vincente che attualmente si configura come braccio di ferro fra le Facoltà umanistiche e le Facoltà scientifiche e tecnologiche, e si risolve in sede di singoli Atenei a vantaggio di quest’ultime nell’assegnazione dei fondi di ricerca e dei posti. Questo progetto perverso, e micidiale per le prossime generazioni, accade con la “collaborazione” dei colleghi delle Facoltà cosiddette scientifiche i quali non riflettono su questi principi: 1)E’ primitiva e datata la separazione fra “le due culture” (il vecchio libro di Snow, per intenderci). 2) Gli studiosi cosiddetti umanisti applicano nella loro ricerca metodi e criteri scientifici, come fanno i matematici i medici i fisici e così via. Questo perché i procedimenti logici, intellettuali (dunque anche ‘creativi’) sono comuni ai veri studiosi e ricercatori a qualunque settore essi si dedichino. 4) I grandi scienziati (quelli del passato remoto, come Aristotele, Platone e Pitagora; e quelli più vicini come Leonardo e Galileo, e così anche quelli recentissimi: Goedel, Einstein, Bohr, Heisemberg e così via) sono stati, e non poteva essere altrimenti, anche filosofi – o soprattutto filosofi-, perché riflettevano sulla natura ultima delle cose, sui loro stessi procedimenti mentali e sugli scopi e attuazioni delle loro invenzioni e scoperte. 5) Non possono essere veri scienziati quelli che si prefiggono di ottenere soltanto risultati economici. 6) Non è corretto distinguere le discipline fra “quelle che servono” e “quelle che non servono”. Io non so quanto mi sia servita la matematica studiata fin da bambino, ma sono certo che mi è servita; e nessun scienziato può dire quanto gli sia servito lo studio del latino e delle strutture linguistiche ugualmente fatto da bambino, e lo studio della storia e della filosofia e delle letterature; e certamente quello studio gli è servito. 7) Ora riferisco un caso di un tale che, cacciato a calci nel sedere dalla propria città, visse facendo l’ambasciatore qua e là e intanto scrivendo la Divina Commedia, un poema, dunque una cosa che “non serviva a nulla”. Ebbene: la lingua con cui scriviamo – lessico, concatenazione logica delle parole, strutture inventive ecc.- è pressoché ancora quella che si legge nel suo poema. E i fautori della separazione fra culture quando scrivono o parlano usano in grandissima parte quella stessa lingua “inventata” da uno che non serviva a niente. Riflettano su questo i nostri scienziati, e quando stanno per scrivere sull’inutilità e inferiorità della cultura umanistica si ricordino più spesso di questo aforisma di Wittgenstein: “Chi ha qualcosa da dire, si alzi in piedi e taccia”.

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