VALORE LAUREE: CONSULTAZIONE CON “CAMPAGNE”

SI VUOLE ABOLIRE IL VALORE DELLE LAUREE

= Aggiornamento del 27 marzo 2012: “Lauree. Dopo il Sole e Repubblica, oggi il Corriere”

Dopo il Sole 24-ore e Repubblica, è partito oggi il Corriere della Sera. E assieme alla ‘grande’ stampa si sta muovendo quella ‘minore’, come ItaliaOggi.
Tutti uniti a propagandare la nuova ‘democrazia’ telematica. Tutti uniti, in realtà, a sostenere la decisione che il Governo vuole e DEVE prendere: abolire il valore del voto di laurea per accentuare e formalizzare la differenza tra gli Atenei.
L’obiettivo accademico-confindustriale è quello di ridurre a non più di 20 gli Atenei veri, cioè quelli che svolgono didattica e ricerca e dove si convoglieranno le risorse pubbliche, emarginando o chiudendo tutti gli altri.
Contro la consultazione-farsa l’unica risposta possibile è quella della controinformazione per promuovere una forte mobilitazione nell’Università e nelle piazze: occorre reagire adeguatamente e in tempo per impedire la definitiva demolizione dell’Universita’ statale aperta a tutti e di qualità.

= Aggiornamento del 23 marzo 2012: “Lauree: sandaggio-farsa”

A) ANDU: “Lauree: sondaggio-beffa”. Documento delle Organizzazioni universitarie

B) Manifesto: “Via alla consultazione-truffa”

C) Critiche al questionario su ROARS

 

A) ANDU: “Lauree: sondaggio-farsa”. Documento delle Organizzazioni universitarie

     “Le lauree non saranno più tutte uguali”, è il titolo con il quale Repubblica ‘anticipa’ l’esito di quello che viene presentato come un “referendum online” sull’abolizione del valore legale del titolo di studio.
     Comincia, anzi continua, così la campagna accademico-mediatica non tanto – per il momento – per abolire il valore legale del titolo, ma per subito azzerare il valore del VOTO della laurea e sostituirlo con il valore (chi lo accerterà e come?) dell’Università che rilascia il titolo. E’ questa la via ‘dettata’ dalla Confindustria e, sostanzialmente, sostenuta dalla CRUI e, quindi, da tutti i partiti.
     L’obiettivo è quello di differenziare gli Atenei arrivando a ‘selezionarne’ (chi e come?) non più di 20 di serie A (che svolgeranno didattica e ricerca), dove accentrare i finanziameni pubblici, lasciando a tutti gli altri il compito di rilasciare titoli senza o con poco valore.
      Questo Governo, che faà (e sta facendo) di tutto per soddisfare le richieste della Confindustria e dell’accedemia che conta, ha lanciato una consultazione che, come da manuale, utilizza domande che ‘predispongono’ l’esito prestabilito: abolire il valore del voto di laurea. Insomma una consultazione-farsa per evitare un vero confronto con chi studia e opera nell’Università.
     Un confronto che il ministro Profumo non ha voluto con le Organizzazioni universitarie (ADI, ANDU, CISL-Università, CONFSAL-SNALS, CoNPAss, COSAU – Adu, Cipur, Cisal-docenti università, Cnru, Cnu, Snals-docenti università -, FLC-CGIL, RETE29Aprile, SUN, UDU, UIL-RUA, USB-Pubblico impiego) che hanno ribadito “che il valore legale del titolo di studio rappresenta un elemento di certezza democratica indispensabile nel nostro Paese e una funzione di garanzia dello Stato sull’equita’ e sulla correttezza dei rapporti tra i cittadini.” E che hanno aggiunto: “Non è accettabile il modello di Università sotteso all’abolizione del valore legale delle lauree, che costruisce un sistema di formazione che permette ai privilegiati di mantenere i privilegi a spese dell’intero Paese. Il valore legale delle lauree è garanzia della qualità minima di conoscenza e di uguaglianza nell’accesso alle professioni e nella pubblica amministrazione. Non può essere il “mercato” a dare il giudizio necessario per una adeguata e corretta selezione.”
    A un Ministro che rifiuta un confronto vero e attiva invece una consultazione finta, si può solo rispondere con una grande mobilitazione di studenti e docenti a difesa dell’Università statale, per difendere il diritto allo studio e la libertà di insegnamento e di ricerca.

B) Manifesto: “Via alla consultazione-truffa”

    Articolo di Roberto Ciccarelli.

C) Critiche su ROARS

     Critiche al questionario di Francesco Coniglione.

 

== Documento dell’ANDU del  5 marzo 2012:

VALORE DELLE LAUREE. “DAL 22 MARZO VIA ALLA CONSULTAZIONE ONLINE DEL PAESE”

  1. Corriere e Governo

  2. Profumo: “sono favorevole al valore legale, ma …”

  3. La “transizione morbida” della CRUI e del PD

  4. La ‘grande’ stampa aggiusta il tiro (Schiesaro, Azzoni e altri, Anzellotti e altri)

  5. La “campagna del Ministro” e della ‘grande’ stampa

per approfondire l’argomento si invita a leggere

Il valore dell’Università” e “Lauree per Confindustria

e, in particolare, gli interventi di Salvatore Nicosia e Paola Mura

1. Corriere e Governo

      Il 29.2.12 il Corriere della Sera, preoccupato, titolava “Dov’é finita la consultazione sulla laurea?” e invitava il Governo ad “ascoltare cosa ne pensa il Paese.”

   Il 3.3.12 lo stesso Corriere della Sera, soddisfatto, informa: “Laurea, via alla consultazione online”. Nell’articolo, tra l’altro, si sostiene che da parte del Governo “c’era stata la tentazione di lasciar perdere, visto il rischio che dalla consultazione arrivasse una valanga di no.” Invece, “parte il 22 marzo sul sito del ministero dell’Istruzione il dibattito sul valore legale.”

2. Profumo: “sono favorevole al valore legale, ma …”

      Opinionisti e ministri che sono anche professori si sono lanciati, incautamente e sprovvedutamente, contro il valore legale dei titoli di studio. Incautamente perché questo obiettivo, che con troppa evidenza è un attacco all’Università statale, produrrebbe una diffusa e dura protesta degli studenti e delle loro famiglie. Sprovvedutamente perché si tratterebbe di una operazione estremamente complessa e lunga. Insomma più realisti del re, visto che la Confindustria non è interessata a un obiettivo difficile e lontano, ma vuole ottenere un risultato sostanzioso e immediato: la differenziazione degli Atenei.

     Ed è questo l’obiettivo anche del ministro Profumo che è arrivato, ‘saggiamente’, a dichiarare: “sono favorevole al valore legale della laurea”. Aggiungendo però: “ci sono utilizzi (delle lauree) anomali, come nei concorsi pubblici.”

  E infatti il ministro Profumo, nel Consiglio dei Ministri del 27.1.12 in cui il “Governo dei professori” (universitari), dopo oltre 60 anni di dibattito sul valore della laurea, ha improvvisamente “scoperto che è un tema molto più complicato di quello che possa sembrare” (Monti), aveva ‘solo’ proposto l’abolizione del valore della laurea nelle carriere e del “voto di laurea come requisito di accesso per i concorsi pubblici” (Profumo).

3. La “transizione morbida” della CRUI e del PD

     Quella del ministro Profumo è la linea, prediletta dalla CRUI, dell’”affievolimento” del valore delle lauree o della “transizione morbida verso l’abolizione del valore legale del titolo di studio”; linea questa sostenuta da diversi rettori, tra i quali Guido Fabiani (intervista sul Corriere della Sera del 29.1.12), e dal PD (intervento di Marco Meloni su Europa del 25.1.12).

     E che l’obiettivo sia quello della differenziazione degli Atenei (pochi – non più di 20 – quelli veri e gli altri si limitino a rilasciare titoli o scompaiano) lo chiarisce lo stesso Corriere della Sera: “avvicinarsi al modello americano dove a stabilire il valore di un titolo di studio è la reputazione di chi ci mette il timbro e la firma”. In Italia la “reputazione” degli Atenei dovrebbe deciderla l’ANVUR, l’organo con il quale si sta commissariando il Sistema nazionale universitario, con la partecipazione diretta della Confindustria, con la quale la CRUI ha stipulato un “accordo” e ha costituito un “asse”.

4. La ‘grande’ stampa aggiusta il tiro (Schiesaro, Azzoni e altri, Anzellotti e altri)

Schiesaro

      La linea ‘morbida’ (mantenimento, per ora, del valore legale formale delle lauree e immediata abolizione del loro valore sostanziale) per arrivare al più presto alla differenziazione degli Atenei, condivisa dal ministro Profumo, sta trovando sempre più spazio nel quotidiano della Confindustria e non solo.

     E infatti il Sole 24-ore si consente di titolare “No agli opposti estremismi sui titoli di studio” un intervento di Alessandro Schiesaro, uno degli “estremisti” che hanno imposto all’Università la controriforma cosiddetta Gelmini, voluta da Confindustria e supportata dalla CRUI.

      E il ‘moderato’ Schiesaro, in accordo con l’attuale ‘suo’ Ministro, scrive: visto “che alcuni atenei sono più esigenti di altri e che i voti variano molto da corso di studio a corso di studio anche nella stessa sede, sarebbe ragionevole eliminare qualunque valutazione automatica del voto in sede di concorso: è meglio lasciar partecipare chi si è laureato con 66 che escludere a priori chi ha preso 98, magari in una disciplina molto dura, e non ha senso regalare un forte vantaggio di partenza a chi la lode l’ha ottenuta in un ateneo di manica larga o in una materia un po’ soft.”

Azzoni e altri

     Sempre sul Sole 24-ore, nell’intervento “Si al valore legale insieme ad atenei migliori”, si legge che rispetto al “valore legale” “non si tratta di decidere ‘se’ esso vada o no mantenuto, ma semplicemente (sic!) dei limiti dei suoi effetti giuridici”. E per non lasciare dubbi: “ecco perché gli interventi annunciati dal Governo, che rafforzano le condizioni di una competizione alla pari sulle capacità e non sui voti assegnati” “sono esattamente ciò di cui abbiamo bisogno, senza che questa scelta debba essere caricata di inutili furori ideologici”. Insomma, “adelante, Pedro, con juicio”.

 Anzellotti e altri

     E il ‘buon senso’ è alla base anche dell’intervento di un gruppo di professori che auspicano “che si affronti, anche qui rifuggendo dagli slogan, il problema della qualità (che va premiata) e della differenziazione tra atenei, e più ancora tra comunità disciplinari e di ricerca a diverso livello.” Questo intervento, sul Manifesto, è intitolato “Cambiare, senza alcuna nostalgia per il passato”. Gli autori sembrano però non ricordare che nella realizzazione del “passato” (e del presente) dell’Università alcuni di loro hanno dato un contributo non indifferente: il dannoso “3 + 2”, i finti concorsi locali, lo svuotamento del CUN e la costituzione dell’onnipotente ANVUR, l’imposizione degli onnipotenti rettori e dei CdA negli Atenei. Dell’intervento non si possono non condividere le ultime parole: “gli errori del passato sono evidenti e non vanno riproposti come virtù.” Appunto, vanno cancellati!

     == Che la differenziazione tra gli Atenei sia lo sbocco degli interventi soft lo chiariscono meglio altri ‘esperti’ che condividono i desideri confindustriali: il solito Francesco Giavazzi (“Non diamo più agli atenei lo stesso peso”), la Voce.info (“pesare in maniera diversa le lauree a seconda dell’università/facoltà di provenienza”, sulla base di “una graduatoria di atenei riconosciuta, ad esempio quella dell’Anvur”), il Sole 24-ore (“sarà il sistema stesso (attraverso l’ANVUR), dunque, a riconoscere valore diverso tra l’uno e l’altro corso, e tra l’uno e l’altro ateneo”).

5. La “campagna del Ministro” e della ‘grande’ stampa

     Con queste premesse, non può non suscitare perplessità, anzi timore, la consultazione online del “Paese” e il fatto che “per espressa indicazione del ministro Francesco Profumo la consultazione sarà preceduta da una campagna di comunicazione che utilizzerà anche i social network, come Face-book e Twitter. Un modo per stimolare i giovani a partecipare.”

    Al Ministro non può sfuggire che la stampa che conta e l’accademia che conta hanno già ampiamente dispiegato una vasta e pesante campagna a favore dell’abolizione del valore delle lauree, e che sempre più si sta facendo strada il sostegno alla sua ‘versione’.

   Per rendere meno ‘influenzata’ la consultazione del “Paese”, il Ministro potrebbe lanciare un APPELLO alla ‘grande’ stampa per assicurare altrettanto spazio a chi si oppone all’abolizione, in qualsiasi forma, del valore delle lauree.

10 comments for “VALORE LAUREE: CONSULTAZIONE CON “CAMPAGNE”

  1. gianni porzi
    5 marzo 2012 at 10:50

    E’ la prima volta che mi trovo d’accordo con il prof. Schiesaro.
    Il problema non è il valorte legale del titolo di studio, che a mio avviso va ancora mantenuto, ma il “valore del voto di laurea” che andrebbe invece abolito nei conconrsi pubblici. La laurea dovrebbe servire solo come titolo di ammissione al concorso pubblico, il voto non dovrebbe in alcun modo incidere sull’esito del concorso. Questo si può fare subito, il resto (peso differente delle lauree e degli Atenei) non è facile da realizzare nel breve periodo e comunque solleverebbe infinite polemiche.
    prof. Gianni Porzi

  2. Maria Napolitano
    5 marzo 2012 at 19:14

    Assolutamente no, non sono d’accordo. Non mi pare corretto valutare sullo stesso piano tutte le lauree. Il voto di laurea deve avere il suo peso nei concorsi pubblici come in ogni sede pertinente. Non possono considerarsi equivalenti le fatiche di chi ha sostenuto con alta o massima valutazione gli esami del corso di laurea, completando il tutto con una tesi sperimentale e innovativa e quelle di chi ha lavorato al minimo negli anni, svolgendo infine una tesi compilativa o semplificata. Tutt’altra cosa mi pare il controllo della serietà del lavoro disciplinare universitario. Togliere valore al punteggio finale significa vanificare gli sforzi di chi studia davvero e merita di emergere anche successivamente.

  3. Paolo Gianni
    6 marzo 2012 at 11:21

    Condivido quanto scrive Porzi. Anch’io sono favorevole a mantenere il valore legale della laurea , ma togliere valore al voto.

  4. luigi campanella università Sapienza Roma
    6 marzo 2012 at 14:58

    L’abolizione del valore legale del titolo di studio è un’ipotesi della quale si sente sempre più spesso parlare, ma che nella situazione attuale del nostro Paese – e di molti altri Europei – non appare percorribile.
    L’accesso alle professioni e alla Pubblica amministrazione richiede il possesso di un titolo di studio avente valore legale. Abrogare tale riconoscimento farebbe venire meno la connessione tra lo specifico titolo e la possibilità di entrare a far parte delle amministrazioni pubbliche o degli ordini professionali.
    Inoltre si produrrebbe l’eventualità che gli atenei rilascino titoli di laurea senza una copertura relativa al loro valore qualitativo, che sarebbe dunque affidato interamente al mercato. In questo modo non sarebbe più sufficiente la garanzia di possedere un determinato diploma, ma assumerebbe un rilievo senz’altro maggiore soprattutto l’università di provenienza.In questo quadro il valore legale del diploma di laurea è l’unico meccanismo volto ad assicurare che i corsi abbiano contenuti adeguati e pertanto la sua eliminazione richiederebbe comunque strumenti analoghi di garanzia. C’è ancora -legata al valore legale del titolo di studio-l’obbligatorietà di autorizzazione da parte dello Stato per l’istituzione di nuove università abilitate, dunque, a rilasciare titoli aventi valore legale. Anche da considerare l’aspetto del mutuo riconoscimento fra Stati Europei: potremmo trovarci nella situazione di riconoscere titoli conseguiti in altri Paesi senza il corrispondente riconoscimento da parte loro dei nostri. Infine il valore legale del titolo rappresenta una garanzia sociale rispetto a comportamenti clientelari, a stratificazioni dipendenti dal censo, a gestioni “allegre” o clientelari delle fasi di selezione: esso pure nella discriminazione rappresenta un ostacolo ad abusi e prepotenze.

  5. Luigi Bua
    22 marzo 2012 at 11:41

    Verrebbe da dire chi lo fa l’aspetti. Infatti l’abolizione del valore delle verifiche noi nell’università lo abbiamo già attuato nei confronti dei colleghi che insegnano alle superiori.
    Per noi non conta nulla, o poco, che degli insegnanti lavorino cinque anni con uno studente, che lo aiutino a crescere e maturare, che lo valutino un bel po’ di volte e infine che una commissione lo valuti ancora all’esame di stato; vuoi mettere un bel test in ingresso!
    Conta niente che da un punto di vista scientifico si possa obbiettare che i test non permettano di valutare, che non viene assolutamente colta la propensione e la motivazione agli studi … fa comodo fare il test, si lavora meno e si scansano le responsabilità.
    Ora tocca a noi. Almeno venti docenti fanno il loro lavoro: viene svolta un’attività didattica di varia complessità, vengono svolte prove e valutazioni, non conta, non conta nulla. Il voto di laurea è la media del lavoro svolto con profitto dallo studente e valutato da degli specialisti, non conta.
    Qual è allora il messaggio e l’obiettivo? Molti, e non secondari.
    1) Così come noi abbiamo fatto con leggerezza, delegittimare il lavoro che viene svolto a livello di formazione pubblica (conta ed è proficuo solo la formazione “che si paga”, di tasca propria, la forma privatistica autoreferenziale o auto certificata; dai corsi di formazione alla scuola privata, alle università online, sempre con le dovute eccezioni).
    2) Creare quindi un nuovo business, quello della formazione permanente (per ora si è creata la fortuna delle case editrici per i test, ma è solo l’inizio, già diversificano le loro iniziative, fanno anche i corsi …)
    3) Basandosi su diffusi luoghi comuni differenziare le professioni: il valore legale, il controllo quindi del raggiungimento di uno standard riguardo alle competenze, deve riguardare solo alcune professioni. Tutti prontamente affermano che per operare, in senso “medico” intendono, siano necessarie grandi competenze “certificate”, altrettanto per progettare una casa. Ed invece per far crescere un bambino, per istruirlo? Per avere affidata la responsabilità di un servizio sociale? Per garantire i diritti? Per gestire organizzazioni complesse? Gli esempi possono essere tanti. Ma su cosa si basa questo luogo comune? Su una vecchia visione per cui le scienze umane “abusano del titolo”: le scienze sono solo quelle hard. Niente conta che in questi ultimi decenni le scienze biologiche e fisiche si definiscano in nuovi paradigmi che comprendono, strutturalmente, la storia, l’evoluzione; la complessità, i limiti della razionalità e della prevedibilità sono il nesso tra i vari saperi, ma si continua a negare che le scienze umane sono intrinsecamente complesse. Si accetta che l’occhio umano sia un sottosistema complesso, non si accetta che una relazione tra due menti e due soggetti sia infinitamente più complessa e dinamica. Le scienze umane sono “arretrate”, forse perché tutti gli scienziati sociali sono “poco dotati”? Forse è più giusto pensare che c’è complessità e complessità.
    4) Differenziare le professioni significa gerarchizzare i saperi, non solo economicamente, ma, più importante, nel sentire collettivo: per manipolare i cittadini serve questo. Se le scienze umane non sono scienze, solo il “tecnico” ha diritto di affermare, tutto il resto è opinabile e quindi prevale la forza.
    5) In più si raggiunge anche l’obiettivo di confinare la formazione nel puro apprendimento di competenze strumentali. Poco conta che queste diventino rapidamente obsolete se non si “possiedono le basi”, il linguaggio, i concetti, i modelli interpretativi, quello che è importante è che si crei dipendenza: l’aggiornamento lo compreremo nella “formazione ricorrente”, la capacità di porsi le giuste domande e quindi di procedere nell’auto aggiornamento non è previsto.
    Quello che manca del tutto è una visione diversa della formazione, Quello che lo Stato assicura e deve assicurare è la formazione del cittadino prima, e della forza lavoro poi. Per rendere chiaro quanto intendo per formazione del cittadino faccio un solo “piccolo” esempio, l’abolizione dello studio della geografia: questa “castroneria” è stata accettata come una cosa magari sbagliata, ma marginale. Non è così. Una persona che viene privata delle competenze fornite dallo studio della geografia è potenzialmente, specie nel mondo contemporaneo, un cittadino di serie inferiore, un cittadino a cui sono sottratti gli strumenti per poter comprendere autonomamente gli avvenimenti, un cittadino dipendente dal giudizio e dall’autorità degli altri. Bisogna avere dimestichezza con gli strumenti idonei a collocare i fenomeni negli spazi e nei tempi specifici. Gli aspetti, apprendimenti, strumentali sono fondamentali “i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo” afferma Wittgenstein, ma sono molto più ampi della loro “utilizzabilità e spendibilità sul mercato del lavoro”.
    Si potrebbe dire che tutto questo ha poca attinenza col problema del voto di laurea….. ma si può obiettare che ogni singola parte di un sistema concorre a creare le proprietà emergenti del sistema nella sua totalità: una università senza valutazione, senza voto di laurea, non è una università.

    Per non sfuggire comunque la proposta: se si ritiene che alcuni regalino le lauree, e questo inquini il mercato ed i concorsi, bene si proceda col chiudere le facoltà e gli atenei che non fanno il loro dovere, ci si assuma la responsabilità che è propria di chi governa un sistema, onori ed oneri, non si sfugga il problema rimandando ad altri la responsabilità o “vendendo” ad altri la possibilità di manipolare il mercato della formazione e la vita delle persone.

  6. gianni porzi
    24 marzo 2012 at 15:40

    Non condivido affatto l’affermazione di Maria Napolitano, secondo la quale “togliere valore al punteggio finale significa vanificare gli sforzi di chi studia davvero e merita di emergere anche successivamente”. Infatti, chi ha studiato con impegno e serietà potrà dimostrare la sua buona/otima preparazione in tutte le varie fasi del concorso pubblico. Nel caso poi delle assunzioni in Aziende private il voto di laurea in pratica vale quasi nulla perchè ciò che conta è il colloquio durante il quale il candidato potrà mettere in evidenza la sua preparazione.
    Gianni Porzi

  7. marco barchi
    25 marzo 2012 at 17:56

    no, non sono assolutamente d’accordo nell’abolire il valore del voto di laurea. Io insegno all’università e vi assicuro c’è una grande differenza tra studente e studente, nella preparazione, passione ed impegno che mettono nel preparare gli esami. Questi studenti meritevoli vanno valorizzati e riconosciuti, non appiattiti allo stesso livello di quelli svogliati e somari. Dove sarebbe la tanto sbandierata meritocrazia? così affondiamo l’università e la professionalità.

  8. Giorgio Nebbia
    29 marzo 2012 at 18:42

    Sono stato assistente (quando esistevano) nell’Università di Bologna, poi professore nell’Università di Bari dal 1959 al 1995, ora in pensione. Sono sempre stato e sono contrario all’abolizione del valore legale della laurea.
    Giorgio Nebbia

  9. 30 marzo 2012 at 08:36

    L’Italia, scriveva Montanelli, è il Paese del diritto e del rovescio. Mi verrebbe di mutuare l’aforisma del grande giornalista scomparso ed affermare che il nostro è il Paese degli arretramenti e delle fughe in avanti. Uno strano meccanismo alternante che ci fa galleggiare senza riuscire a farci decollare. Siamo geneticamente dei conservatori (cambiare tutto per non cambiare nulla), ma anche dei grandi provinciali che agognano di essere “a la page” senza impegnare le dovute risorse economiche (costo zero) e senza prefigurare proporzionati contributi intellettuali finalizzati ad una vera innovazione. Se poi riusciamo a compiacere i potentati economici,ancora meglio. Qualche vantaggio personale scaturirà dalla nostra iniziativa. Il valore legale del titolo di studio non è un tabù, ma non può essere neanche il pretesto per una fuga in avanti che farebbe arretrare l’università pubblica senza far progredire un credibile modello alternativo. Il buon costruttore, prima di distruggere la vecchia casa per edificarne una nuova, verifica le proprie risorse economiche, elabora un progetto attuabile e, sopra tutto, si rimbocca le maniche.

  10. giovanni
    24 aprile 2012 at 07:55

    Il valore legale del titolo di studio non deve essere abolito, perchè è in ogni caso garanzia di una certa preparazione. E soprattutto lo Stato non può discriminare in questo modo nei pubblici concorsi. Altra cosa sono i concorsi delle aziende private. Il voto di laurea, così come “la velocità” di conseguimento del titolo o il piano di studio seguito, potrebbero essere fattori discriminanti solo nel caso di votazione ex-aequo in un pubblico concorso. E’ invece importante che i concorsi siano seri ed impegnativi: chi è più bravo avrà la possibilità di far valere la propria preparazione, indipendentemente dalla sede in cui ha studiato e conseguito il titolo.

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