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Pre ruolo in università: è il tempo di una svolta reale
Assorbire il precariato, ridurre i tempi di immissione in ruolo, espandere l’università.
3 marzo 2022
In queste settimane sono ripresi nelle Commissioni del Senato i lavori sul DDL 2285, che ridisegna le forme, i tempi e le modalità di immissione in ruolo del personale docente e di ricerca delle università.
La legge 240 del 2010, nel quadro di una lunga stagione di tagli del Fondo di Finanziamento Ordinario che ha segnato la vita di tutti gli atenei, ha messo ad esaurimento i ricercatori di ruolo e rilanciato figure atipiche della docenza e della ricerca (borse con fondi esterni, ricercatori a tempi determinato e assegni di ricerca), oltre che configurare tempi di immissione nei ruoli di ben 12 anni (compresa una tenure triennale). Così, nello scorso decennio le posizioni in ruolo negli atenei (comprese le tenure) sono crollate ben oltre il 20% ed ancora oggi sono solo 52.000 (di oltre il 15% inferiori al 2009), mentre nelle università ci sono 20mila abilitati senza posizioni stabili, oltre che altri giovani ricercatori e ricercatrici distribuiti in una pletora di rapporti di lavoro individuali, precari e atipici (rtda, assegni, borse, collaborazioni e contratti di insegnamento). La stessa relazione tecnica alla Legge di Bilancio 2022, che riapre l’espansione degli organici oltre i limitati piani straordinari degli scorsi anni (prevedendo però ancora risorse insufficienti, per solo 7/8mila docenti in più degli attuali), indica esplicitamente in almeno 45mila posizioni di ruolo le reali necessità del sistema universitario italiano, nel quadro del rilancio delle università europee nel frattempo avvenuto negli altri paesi dell’Unione seguendo gli obbiettivi definiti a Lisbona nel 2000.
Come abbiamo più volte segnalato unitariamente nel corso di questi mesi, però, il problema non è solo il rilancio delle risorse del sistema universitario nel suo complesso, ma anche che questo rilancio avvenga garantendo qualità e sicurezza dei rapporti di lavoro, con percorsi definiti per l’immissione in ruolo, tanto più a fronte dei significativi investimenti previsti dal PNRR (proprio in queste settimane messi a terra con bandi di diversi miliardi di euro) che rischiano di gonfiare una nuova bolla di precariato di diverse migliaia di giovani ricercatori e ricercatrici.
Per questo abbiamo ritenuto e riteniamo inaccettabile il DDL approvato dalla Camera, in assoluta continuità con l’impostazione della Legge Gelmini. Per questo, alla vigilia della discussione, di una possibile elaborazione di nuovi emendamenti e dell’approvazione in sede redigente del disegno di legge al Senato riteniamo importante ribadire quanto abbiamo evidenziato all’inizio del percorso, sottolineando quattro elementi per noi cardine per un reale rilancio delle università italiane:
- la previsione esclusivamente di rapporti di lavoro con la piena applicazione di diritti, tutele e contributi, introducendo un’unica figura preruolo, definita nazionalmente e con autonomia di ricerca, ed eliminando quindi dall’ordinamento ogni contratto parasubordinato in contrasto con quanto previsto nella Carta Europea del Ricercatore (come borse, assegni, collaborazioni e altre forme di dumping contrattuale);
- una radicale riduzione della durata dei percorsi di immissione in ruolo, che non solo evitino di espandere a quasi un ventennio la possibile permanenza nel preruolo, ma intervengano sostanzialmente sui tempi attualmente in vigore con la legge 240 del 2010, già evidentemente molto superiori a quelli previsti negli altri sistemi europei e non solo;
- la conferma di percorsi di tenure contenuti nella durata, che soprattutto permettano l’immissione in ruolo a tempo indeterminato sulla base di parametri oggettivi e omogenei a livello nazionale, con un passaggio esigibile da parte di ricercatori e ricercatrici dopo un periodo minimo;
- l’inserimento nel DDL di una reale normativa transitoria, che nel quadro di un reclutamento ordinario, ciclico e progressivo come dei piani straordinari attualmente previsti, individuino gli strumenti per permettere all’attuale bolla di precariato, come a quella in formazione sul PNRR, di esser progressivamente e rapidamente assorbite (sia attraverso risorse aggiuntive, sia prevedendo deroghe, vincoli e eventuali norme che saranno necessarie), come avvenuto in questi anni negli Enti Pubblici di Ricerca (nei quali le pur importanti recenti conquiste sulla stabilizzazione non esauriscono il fenomeno e richiedono comunque ulteriori incisivi interventi normativi e contrattuali).
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