“Università italiana da buttare?”

 7 maggio 2011

1.  “Università italiana da buttare?” No, grazie al valore legale e al reclutamento nazionale: intervento del Rettore POLIBA
2.  Con esaurimento ricercatori blocco reclutamento per anni: intervento di Figà Talamanca
3.  Gli Statuti ministeriali: autonomia, ma con giudizio. Lettera dal Ministero
4.  “Un rilancio del sistema universitario”: “progetto alternativo” del PD
5. “Sapienza, gli studenti occupano l’aula magna”: “sit-in contro riforma e privati”
6. “Sciogliere la Crui. Democrazia negli Atenei” “Contestati i rettori della Crui”
7.  Incontro-Dibattito sullo Statuto a Palermo 

 

1.  “Università italiana da buttare?” No, grazie al valore legale e al reclutamento nazionale: intervento del Rettore POLIBA.

          In un recente intervento Nicola Costantino, rettore del Politecnico di Bari, contesta la ”visione ‘catastrofica’ dei nostri atenei”, che ha accompagnato “l’iter di approvazione della cosiddetta ‘riforma Gelmini’” e che ha visto concordare “l’intero arco parlamentare, il mondo delle imprese e quello della stampa – pur con distinguo significativi”. 

        Nicola Costantino dimostra – con “dati difficilmente contestabili” – che la ricerca e la didattica dell’Università italiana reggono “il confronto internazionale”.  “La chiave di lettura” di questa realtà “va ricercata in ‘una splendida anomalia’ italiana: il valore legale del titolo di studio che, unito al controllo centralizzato della qualità degli insegnamenti ed a un sistema di reclutamento nazionale (criticabilissimo, ma non da buttare) ha finora (per quanto ancora?) garantito che le differenze di livello (che pure ci sono) tra le varie facoltà e le diverse università nel nostro paese siano – tutto sommato – contenute”.  Nicola Costantino rileva che in altri Paesi “la logica di mercato (con livelli enormemente differenti di tasse universitarie, ma anche di retribuzione dei docenti) fa sì che il valore (‘di mercato’ e non ‘legale’) del titolo di studio in questi contesti vari enormemente, secondo l’ateneo in cui è stato conseguito, con buona pace per quella funzione di ‘ascensore sociale’ che l’università pubblica può (e deve) garantire a tutti i cittadini, anche (soprattutto) ai meno abbienti.”

       La difesa della natura e del ruolo dell’Università italiana da parte del Rettore del Politecnico di Bari è in contrasto con la recente posizione espressa dal nuovo presidente della Conferenza dei Rettori: “In futuro dovremo consentire alle università di chiamare i professori che vogliono”. Questa posizione ‘contempla’ l’abolizione del valore legale del titolo di studio, come è stato esposto al primo punto  (“Assalto finale all’Università: Mancini, Bedeschi, Mannucci, Quagliariello, Tocci, PD”) del precedente messaggio dell’ANDU.

        Una puntuale confutazione dell’opera di denigrazione dell’Università italiana – condotta soprattutto da economisti “che hanno una fede pressoché illimitata nella capacità del mercato” – è sviluppata da Francesco Sylos Labini nel suo recente intervento “Chi denigra la ricerca italiana”.      

2.  Con esaurimento ricercatori blocco reclutamento per anni: intervento di Figà Talamanca.

          Tante volte l’ANDU ha ripetuto che con l’approvazione del DDL sull’Università ci sarebbe stato il “blocco per anni del reclutamento e degli avanzamenti con espulsione di migliaia di attuali precari anche dopo decenni di attività” (il 25.5.10) e che la “nuova ‘categoria’ dei ricercatori a tempo determinato, assieme alla messa a esaurimento dell’attuale fascia di ingresso nella docenza  (ricercatori di ruolo) e alla riduzione a sole due fasce (associati e ordinari) dei docenti di ruolo, porterà all’ulteriore aumento del numero dei precari e all’ulteriore allungamento del periodo di ‘vita’ precaria.” (il 22.3.10).

        Il 4 maggio 2011 Alessandro Figà Talamanca ha scritto che “a oltre due mesi dalla entrata in vigore della ‘riforma’, è forse giunto il momento di esaminarne le conseguenze immediate”. Figà Talamanca ricorda che “prima dell’entrata in vigore della legge il personale docente universitario era inquadrato in tre categorie o ‘fasce’: professori ordinari, professori associati e ricercatori di ruolo”. Una figura quest’ultima che si era “evoluta, anche per interventi legislativi, in un ruolo di docenti a tutti gli effetti”.  Ora “la prima posizione permanente di docente sarà quella di professore associato.” Partendo da questa constatazione, Alessandro Figà Talamanca sviluppa un’analisi che lo porta a prevedere “il blocco di nuovi ingressi” per diversi anni. E, quindi, che fare? Tuttavia, Figà Talamanca non ‘tira le somme’ delle sue considerazioni.

         La soluzione non può essere che ritornare indietro e rapidamente rispetto ad una scelta – la messa ad esaurimento di più di 20.000 ricercatori – che, oltre ad essere una follia giurica, politica e accademica, porta nell’immediato al ‘licenziamento’ degli attuali precari e all’emarginazione dei ricercatori di ruolo, mentre per il futuro porta alla costituzione di un corpo accademico di pochi docenti di ruolo (con un un numero nettamente prevalente di associati rispetto al numero degli  ordinari) e di tantissimi precari, la maggior parte dei quali ‘a vita’.  Insomma, come ha sottolineato giustamente Luciano Modica nel febbraio scorso al Convegno di Camerino, le fasce della docenza continueranno ad essere tre, ‘solo’ che la terza (“una platea enorme”) sarà precaria e le fasce degli ordinari e degli associati saranno due ruoli ancora più distinti. Lo stesso Modica ha sostenuto che se fosse stata approvata la legge che trasformava in terza fascia il ruolo dei ricercatori non “avremmo avuto molta parte dei problemi che abbiamo adesso”.

        Se si volesse eliminare realmente il precariato senza ‘sopprimere’ gli attuali precari, occorrerebbe NECESSARIAMENTE non mettere a esaurimento la terza fascia (trasformando l’attuale ruolo dei ricercatori in terza fascia di professore), ridurre a non più di tre anni il periodo di pre-ruolo e bandire nei prossimi anni, su fondi nazionali, almeno 20.000 posti per il nuovo reclutamento in ruolo.  E per supererare la cooptazione personale è indispensabile che a scegliere i vincitori dei concorsi per il reclutamento siano commissioni nazionali interamente sorteggiate, escludendo i docenti dell’Ateneo interessato e non consentendo la presenza di più di un componente appartenente allo stesso Ateneo.

3.  Gli Statuti ministeriali: autonomia, ma con giudizio. Lettera dal Ministero.

        Alessandro Schiesaro, capo della Segreteria tecnica del MIUR, intervenendo il 4 maggio scorso a un Convegno sugli Statuti organizzato dalla CRUI, ha precisato che il Ministero effettuerà sugli Statuti “un vaglio non solo di legittimità (come impone la Legge), ma anche di opportunità”.  Un singolare compito che il Ministero si attribuirebbe perché “non è consentito di tradire lo spirito della Legge”; consentito è di “mettere in pratica la legge, ma non di smontarla”. Obiettivo questo che si può raggiungere “grazie all’azione della CRUI”. Insomma, bisogna “evitare che arrivino all’esito finale proposte statutarie che potrebbero creare una dialettica (sic!) con il Ministero”.  Per evitare questo è meglio “sminare prima i problemi, nell’interesse di tutti”.  Schiesaro ha tenuto a precisare di dire tutto ciò “non con tono minaccioso, per carità.”

      A stretto giro di posta è arrivata ai Rettori una Lettera dal Ministero datata 4 maggio 2011, con in calce la firma del Ministro. La Lettera contiene sostanzialmente quanto esposto da Alessandro Schiesaro: “norme e regolamenti (devono) essere coerenti con l’impostazione della riforma e armonici tra loro”, saranno “rigorosamente tutelati i principi fondamentali della riforma”, “è comunque auspicabile che gli atenei, anche attraverso il coordinamento della CRUI, dialoghino tra loro”, e contiene anche ‘suggerimenti’ sulla “procedura di selezione dei consiglieri di amministrazione esterni” e raccomanda il “doveroso equilibrio tra le diverse figure di docente”.

     “Opportunità”, “spirito della legge”, “impostazione della riforma”, “principi fondamentali della riforma”, “doveroso equlibrio” sono ‘categorie’ NON contemplate dalla Legge. E’ evidente che si vuole far fare al Ministero un uso improprio del potere di indicare “le norme illegittime e quelle da riesaminare nel merito” (commi 9 e 10 dell’art. 6 della Legge 9 maggio 1989, n. 168).

        Ai Rettori e agli Organi degli Atenei che volessero non sottomettersi alle ‘prescrizioni’ ministeriali, vogliamo ricordare che NON è il Ministero ad avere l’ultima parola sugli Statuti. Infatti nel richiamato comma 10 si legge: “Gli organi competenti dell’università possono non conformarsi ai rilievi di legittimità con deliberazione adottata dalla maggioranza dei tre quinti dei suoi componenti, ovvero ai rilievi di merito con deliberazione adottata dalla maggioranza assoluta. In tal caso il Ministro può ricorrere contro l’atto emanato dal rettore, in sede di giurisdizione amministrativa per i soli vizi di legittimità. Quando la maggioranza qualificata non sia stata raggiunta, le norme contestate non possono essere emante.”

     Sul ruolo della CRUI si invita a rileggere quanto scritto nel precedente messaggio al punto 2 (“La CRUI che non serve all’Università”).

4.  “Un rilancio del sistema universitario”: “progetto alternativo” del PD.

     Nell’intervento di Alessandro Figà Talamanca (v. punto 2) si legge anche che la Riforma “a sinistra, è stata oggetto di proteste e critiche che sembravano ignorarne i contenuti specifici.”  Ma perché l’’Opposizione’ di sinistra avrebbe dovuto opporsi a contenuti che per quanto riguarda la ‘governance’ erano i propri? Contenuti uguali a quelli elaborati e scritti dalla confindustriale e trasversale “lobby trasparente” TreeLLLe già nel 2003 e riportati dal PD nel 2006 nel DDL sull’Agenzia per la valutazione e nel 2009 – prima del DDL del Governo – nel DDL sull’Università. Per quanto riguarda la docenza, il PD vuole il “ruolo ‘unico” (?) in due distinti ruoli, mantenendo la messa ad esaurimento del ruolo dei ricercatori ai quali offre il passaggio, previa valutazione, in un terza fascia ad esaurimento.

     Tutto questo è confermato nel recente “progetto alternativo” del PD, il cui Vice-segretario aveva pubblicamente “apprezzato” la linea della Confindustria sul DDL governativo (v. a pag. 90 “Un rilancio del sistema universitario”).

5. “Sapienza, gli studenti occupano l’aula magna”: “sit-in contro riforma e privati”.

        Articolo sul Messaggero di Roma del 5 maggio 2011.

6. “Sciogliere la Crui. Democrazia negli Atenei” “Contestati i rettori della Crui”:

         Articolo su Repubblica di Roma del 4 maggio 2011. 

7.  Incontro-Dibattito pubblico sullo Statuto a Palermo.

     Il 19 maggio 2011 alle 15.30 si terrà a Palermo un Incontro-Dibattito su “Verso il nuovo Statuto: quale Ateneo?” aperto a tutte le componenti e al quale parteciperanno il Pro-rettore vicario (il Rettore sarà all’estero), il decano della Commissione Statuto, il Presidente della Comitato consultivo, il Coordinatore del Collegio dei Direttori di dipartimento, il Delegato alla pianificazione strategica dell’Ateneo. Nella discussione si farà anche riferimento al Documento sugli Statuti elaborato da quasi tutte le Organizzazioni universitarie. Questo documento è stato trasmesso ufficialmente dal Rettore alla Commissione Statuto (v. locandina).

 

 

3 comments for ““Università italiana da buttare?”

  1. Marinella Lorinczi
    7 maggio 2011 at 20:06

    C’era in Ungheria (ora, dopo il 1989 non c’è più) un settimanale satirico il cui motto era: Non ci sono barzellette vecchie ma soltanto persone anziane; per un neonato ogni barzelletta è nuova. Adottandolo al caso (Lettera ministeriale sugli statuti): per un nuovo ministro ogni riforma è nuova. Penultimo paragrafo del menzionato documento: “Il nostro sistema universitario sta attraversando un momento impegnativo e per alcuni aspetti non facile, ma ricco di opportunità.” Buongiorno, ministro. Dieci anni fa ci dicevano la stessa cosa. Anzi, chi voleva meno ‘opportunità’, meno caos, più cautela e più equilibrio, veniva tacciato da disfattista, di non saper cogliere le famose ‘opportunità’. Revisione degli statuti: si è ‘scoperto’ che finché non si definiscono le strutture periferiche e gli eventuali organi di raccordo (eventuali perché non sono obbligatori) è difficile definire il senato. Quanto ai nuovi dipartimenti, vige la guerriglia in sordina, perché manca la definizione di cosa significa omogeneità di ssd. Cosa ne dice il ministro? E’ prevedibile, e anche la Lettera lo lascia capire, che la revisione degli Statuti non si compirà entro i sei mesi. E nemmeno entro il periodo di proroga, perché c’è anche la coincidenza con la sessione estiva. La questione della ridefinizione patrimoniale è addirittura tragica in certi casi, perché si deve disfare ciò che si è fatto in quest’ultimo decennio. Programmazione triennale del reclutamento: nessuna novità nemmeno qui, dal momento che la programmazione si sarebbe dovuta fare anche negli anni passati, ma poi subentravano gli effetti delle incognite (finanziamenti, esigenze dei corsi di laurea in funzione del numero degli studenti o di altro, la famosa legittima aspirazione all’avanzamento di carriera), per cui se la crescita era diventata veramente disordinata, perché non si è intervenuti? E meno male che la platea degli idonei era meno ampia di come il ministro prevede quella dei futuri abilitati (p. 5). “Criteri di qualificazione didattica e scientifica ulteriori” specificati dai singoli atenei rispetto a quelli per l’abilitazione (p. 5): non assomiglia al famoso “profilo” d’antan? Infine: “Abbiamo di fronte la possibilità di far crescere i nostri atenei eliminando alcune (?) delle storture organizzative e gestionali che ne hanno spesso limitato i grande potenziale scientifico e didattico” (p. 6). Ma non si poteva farlo ugualmente, in base alle leggi già esistenti (peraltro non abrogate), senza scatenare questo epocale marasma?

  2. Paolo
    17 maggio 2011 at 20:05

    Buongiorno,
    lavoro in università, sono un ricercatore confermato e segnalo quanto segue:
    a) la procedura di abilitazione dei ricercatori non è ancora partita… i decreti dovevano essere pronti subito dopo l’entrata in vigore della legge Gelmini… è chiaro che non c’è alcuna volontà di creare nuovi professori… in fondo i ricercatori fanno le stesse cose dei prof. ma costano meno…;
    b) nel frattempo infatti molte università continuano a stabilire carichi didattici obbligatori gratuiti per i ricercatori… è vietato anche dalla legge Gelmini e il ministero lo sa, ma non interviene… dichiarare infatti che i ricercatori non possono insegnare gratuitamente significa avere da parte di rettori e presidi la richiesta di aumentare il FFO… e così il risparmio si realizza grazie al lavoro gratuito dei ricercatori…;
    c) è invece in atto il blocco degli scatti che nel frattempo sono passati da biennali a triennali… si vogliono eliminare gli automatismi e aumentare le retribuzioni in base al merito… non si capisce però come si fa ad applicare la “meritocrazia” se non si spiegano le modalità di valutazione… il ministero tace… anche perché a parlare di “meritocrazia” è paradossalmente un ministro che ha un CV di limitato profilo scolastico (se valesse la “meritocrazia” avremmo sicuramente un altro ministro…);
    d) la riforma universitaria è basata su modelli “non esportabili”… ovvero quelli di università private la cui “efficienza” tanto pubblicizzata è di fatto basata sull’utilizzo di un corpo docente in gran parte rappresentato da persone non incardinate o addirittura in ruolo in università pubbliche… si pagano le ore di insegnamento molto (anche 200 euro l’ora) e si evita di averle in organico con tutti i costi connessi… se si imitano questi modelli (che prevedono peraltro costi di iscrizione fino a sei volte più alti di quelli in vigore nelle università pubbliche) si affossano tutte le facoltà umanistiche, nonché quelle scientifiche basate sull’utilizzo di laboratori estremamente costosi e la cui redditività si avrebbe solo con innovazioni eccezionali e quindi non ripetibili ogni anno…
    e) per mettere realmente in concorrenza le università occorre eliminare il valore legale del titolo di studio e distribuire i fondi in base ai risultati… bisogna però stabilire cosa ci si attende dai diversi tipi di università… e non lo si può fare a colpi di decreto senza coinvolgere nella riforma chi nell’università opera veramente e in particolare che fa ricerca…
    f) l’ingresso dei privati non è un problema, ma si deve pensare ad avere fondazioni private che forniscono borse di studio e verificano la congruità di piani di studio e ricerche rispetto agli obiettivi dell’università… che senso ha avere invece dei privati nei Consigli di Amministrazione? Si aumenta solo il rischio di “clientele”… ovvero “ti finanzio se il posto che sarà assegnato andrà al mio amico”… c’è già il problema dei baroni (il cui potere concorsuale è stato peraltro aumentato dalla legge Gelmini), aggiungiamo quello dei “consiglieri esterni”?
    Grazie per lo spazio concessomi
    Paolo

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