= Aggiornamento del 5.7.10. Intervento di Francesco Sylos Labini sul Fatto Quotidiano dell’1 luglio 2010. Vedi anche l’importante intervento di Ferrara(qui sotto).
= Invitiamo a leggere l’importante contributo di Alessandro Ferrara che spiega cosa è negli Stati Uniti la vera tenure track (meccanismo che Dario Antiseri propone di applicare in Italia), ben diverca da quella voluta da coloro che da noi praticano “l’americanismo alle vongole oggi in voga, (dove) solo i nomi sono in comune con il sistema americano, non la sostanza.” Ferrara documenta anche come è organizzata la docenza negli USA (altro che piramide!) e si sofferma sulle pratiche nepotistiche tutte italiane.
6 comments for “La tenure track: quella vera e quella alle vongole”
francesco di quarto
10 maggio 2010 at 17:06
CHIAMATE: FERRARA HA RAGIONE, MA E’ ANCHE PEGGIO
di Francesco di Quarto
Concordo perfettamente con Ferrara il quale pero’ trascura un particolare che peggiora, se possibile, il meccanismo finora sperimentato delle “chiamate” di facolta’. Infatti se passa il DDL gelmini avremo che al posto della Facolta’ saranno i Dipartimenti a fare il giochetto delle ex Facolta’ con le conseguenze che possiamo immaginare e che ho condensato nel commento di Curzio Maltese sul costume italiano. Chi vorra’ essere “chiamato” dovra essere gradito alla “maggioranza” locale che in presenza di ristrettezze di budget dovrà scegliere chi premiare con la “chiamata” dopo il giudizio di idoneità nazionale. Non oso immaginare cosa diventeranno i dipartimenti e quali esempi di autonomia e di spirito critico regneranno nei dipartimenti e nelle università cosi riformate.
Fausto Longo
10 maggio 2010 at 22:41
ALTRO CHE TENURE TRACK E QUALITA’!
di Fausto Longo dell’Università di Salerno
E’ vero, la situazione è ancora più grave. A farne le spese è ancora una volta il merito. I Dipartimenti se avranno i soldi per pagare interamente un associato chi chiameranno secondo voi? Chi se ne deve andare a casa a seguito della bocciatura o chi in fondo ha già un posto? La risposta è scontata. Se invece il problema sarà il budget appena sufficiente per pagare un passaggio di fascia allora si dirà un bel ‘ciao’ al ricercatore a tempo determinato e si chiamerà come associato quello a tempo indeterminato, più economico. Insomma altro che tenure track e qualità, la chiamata sarà solo il frutto di opportunità!
Graziano
11 maggio 2010 at 10:20
La “Tenure-track” in sostanza è una procedura ben consolidata a livello internazionale attraverso la quale un ricercatore universitario inizialmente con contratto “a termine” può essere confermato a tempo indeterminato se soddisfa le condizioni di accesso.
Tale opzione deve risultare dal bando di selezione e la sua esecuzione dipende dalla strategicità della posizione e del valore professionale di colui (o colei) che la ricopre.
Il sistema permette ad un nostro ricercatore “precario” di accedervi solo se in grado di dimostrare un’adeguata attività di ricerca, qualità nella propria docenza, mole di pubblicazioni ed efficienza amministrativa.
Quali sono quindi le differenze rispetto alla situazione italiana? Non è la mancanza di promozioni interne, ma sono ben altre. La prima differenza è che una università anglosassone normalmente non assume come assistant professor (ricercatore) un proprio laureato o dottorato. All’ingresso del percorso di tenure, quindi, c’è una apertura totale e radicale verso il mondo esterno. Ma una volta che un candidato è entrato nella tenure track, può tranquillamente procedere nei diversi gradi presso la stessa università.
-La seconda differenza è che il ruolo arriva solo dopo molto tempo e normalmente al livello di associate professor.
– La terza è che per tutte le persone senza tenure sono previsti anche percorsi di garanzia all’uscita dall’università.
Per questi motivi, sarebbe molto più utile eliminare del tutto i concorsi, un ruolo unico,una progressione economica,dare piena autonomia agli atenei e mettere in campo rigorosi sistemi di valutazione e assegnazione delle risorse.
Per riformare realmente il sistema universitario italiano è necessario comprenderne correttamente le dinamiche, studiare le best practice ,identificare con chiarezza la causa profonda delle disfunzioni che affliggono i nostri atenei. In questo ulteriore DDL di riforma , si somministra al malato un placebo .
miriam
13 maggio 2010 at 15:25
Tutto bello. Ma il problema vero è la questione generazionale, ancor più del conflitto governo vs. università.
Da un lato ci sono i privilegiati che pensano solo agli altri privilegiati e ritengono che la tenure track debba riferirsi ai ricercatori strutturati che vogliono essere promossi ad associati (cosa che sarebbe in ogni caso priva di senso: da quando in qua uno entra in tenure track con una posizione già stabile?). Dall’altro una marea di precari che costituiscono la vera emergenza nazionale, non solo nell’università, e che per i nostri ordinari sono solo paria con i quali avere a che fare il meno possibile, tranne sfruttarli per firmare pubblicazioni delle quali spesso ignorano financo il titolo.
Antonella
12 giugno 2010 at 09:08
In un paese civile la marea di precari farebbe la rivoluzione contro il ddl. Invece c’è una protesta dei ricercatori attuali strutturati per loro solo mero interesse (non essere messi all’angolo – e va bene – ma fregandosene di quei poveri cristi che stanno sotto, e da tanto), e una tiepidissima protesta dell’opposizione, che, diciamo la verità, non sta facendo nulla per opporsi seriamente allo sfascio accademico. Di quale tenure track stiamo parlando, se ci sono tagli esorbitanti ai ffo? Come cavolo fa un rettore ad assicurare, come in america, in anticipo i fondi per il passaggio ad ordinario dei futuri ricercatori precari ? E’ veramente uno schifo!
diego
1 dicembre 2010 at 09:41
L’interpretazione della legge mi semba un pò tirata per i capelli e fatta con un certo pregiudizio negativo.
In realtà una Tenure Track nella riforma c’è (anche se è scritta in leggese..): infatti sono previsti 2 tipi di contratti, un contratto TT di 3 anni, non rinnovabile e al cui termine se si passa la valutazione si diventa associati; i fondi per diventare associati vengono accantonati nel bilancio di previsione.
A questo contratto TT di 3 anni si può accedere dopo il dottorato se si è abilitati e se si cambia università, altrimenti se si rimane nella stessa università bisogna prima aver fatto un contratto non-TT da max.5 anni.
Anche negli Stati Uniti esistono contratti non-TT (la metà dei posti di ricerca sono coperti da contratti non-TT, e molte università fanno
contratti non-TT per poi trasformarli in TT quando hanno i soldi..).
Della riforma piuttosto vedo due criticità: non è previsto un passaggio da contratto non-TT a TT e nel mondo produttivo italiano un dottorato non conta niente, quindi aver fatto dei contratti non-TT a termine, dopo i quali devi per forza cambiare università (provvedimento di cui comunque capisco il Razionale e che non è sbagliato a priori..) non è molto adatto alla situazione italiana.
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CHIAMATE: FERRARA HA RAGIONE, MA E’ ANCHE PEGGIO
di Francesco di Quarto
Concordo perfettamente con Ferrara il quale pero’ trascura un particolare che peggiora, se possibile, il meccanismo finora sperimentato delle “chiamate” di facolta’. Infatti se passa il DDL gelmini avremo che al posto della Facolta’ saranno i Dipartimenti a fare il giochetto delle ex Facolta’ con le conseguenze che possiamo immaginare e che ho condensato nel commento di Curzio Maltese sul costume italiano. Chi vorra’ essere “chiamato” dovra essere gradito alla “maggioranza” locale che in presenza di ristrettezze di budget dovrà scegliere chi premiare con la “chiamata” dopo il giudizio di idoneità nazionale. Non oso immaginare cosa diventeranno i dipartimenti e quali esempi di autonomia e di spirito critico regneranno nei dipartimenti e nelle università cosi riformate.
ALTRO CHE TENURE TRACK E QUALITA’!
di Fausto Longo dell’Università di Salerno
E’ vero, la situazione è ancora più grave. A farne le spese è ancora una volta il merito. I Dipartimenti se avranno i soldi per pagare interamente un associato chi chiameranno secondo voi? Chi se ne deve andare a casa a seguito della bocciatura o chi in fondo ha già un posto? La risposta è scontata. Se invece il problema sarà il budget appena sufficiente per pagare un passaggio di fascia allora si dirà un bel ‘ciao’ al ricercatore a tempo determinato e si chiamerà come associato quello a tempo indeterminato, più economico. Insomma altro che tenure track e qualità, la chiamata sarà solo il frutto di opportunità!
La “Tenure-track” in sostanza è una procedura ben consolidata a livello internazionale attraverso la quale un ricercatore universitario inizialmente con contratto “a termine” può essere confermato a tempo indeterminato se soddisfa le condizioni di accesso.
Tale opzione deve risultare dal bando di selezione e la sua esecuzione dipende dalla strategicità della posizione e del valore professionale di colui (o colei) che la ricopre.
Il sistema permette ad un nostro ricercatore “precario” di accedervi solo se in grado di dimostrare un’adeguata attività di ricerca, qualità nella propria docenza, mole di pubblicazioni ed efficienza amministrativa.
Quali sono quindi le differenze rispetto alla situazione italiana? Non è la mancanza di promozioni interne, ma sono ben altre. La prima differenza è che una università anglosassone normalmente non assume come assistant professor (ricercatore) un proprio laureato o dottorato. All’ingresso del percorso di tenure, quindi, c’è una apertura totale e radicale verso il mondo esterno. Ma una volta che un candidato è entrato nella tenure track, può tranquillamente procedere nei diversi gradi presso la stessa università.
-La seconda differenza è che il ruolo arriva solo dopo molto tempo e normalmente al livello di associate professor.
– La terza è che per tutte le persone senza tenure sono previsti anche percorsi di garanzia all’uscita dall’università.
Per questi motivi, sarebbe molto più utile eliminare del tutto i concorsi, un ruolo unico,una progressione economica,dare piena autonomia agli atenei e mettere in campo rigorosi sistemi di valutazione e assegnazione delle risorse.
Per riformare realmente il sistema universitario italiano è necessario comprenderne correttamente le dinamiche, studiare le best practice ,identificare con chiarezza la causa profonda delle disfunzioni che affliggono i nostri atenei. In questo ulteriore DDL di riforma , si somministra al malato un placebo .
Tutto bello. Ma il problema vero è la questione generazionale, ancor più del conflitto governo vs. università.
Da un lato ci sono i privilegiati che pensano solo agli altri privilegiati e ritengono che la tenure track debba riferirsi ai ricercatori strutturati che vogliono essere promossi ad associati (cosa che sarebbe in ogni caso priva di senso: da quando in qua uno entra in tenure track con una posizione già stabile?). Dall’altro una marea di precari che costituiscono la vera emergenza nazionale, non solo nell’università, e che per i nostri ordinari sono solo paria con i quali avere a che fare il meno possibile, tranne sfruttarli per firmare pubblicazioni delle quali spesso ignorano financo il titolo.
In un paese civile la marea di precari farebbe la rivoluzione contro il ddl. Invece c’è una protesta dei ricercatori attuali strutturati per loro solo mero interesse (non essere messi all’angolo – e va bene – ma fregandosene di quei poveri cristi che stanno sotto, e da tanto), e una tiepidissima protesta dell’opposizione, che, diciamo la verità, non sta facendo nulla per opporsi seriamente allo sfascio accademico. Di quale tenure track stiamo parlando, se ci sono tagli esorbitanti ai ffo? Come cavolo fa un rettore ad assicurare, come in america, in anticipo i fondi per il passaggio ad ordinario dei futuri ricercatori precari ? E’ veramente uno schifo!
L’interpretazione della legge mi semba un pò tirata per i capelli e fatta con un certo pregiudizio negativo.
In realtà una Tenure Track nella riforma c’è (anche se è scritta in leggese..): infatti sono previsti 2 tipi di contratti, un contratto TT di 3 anni, non rinnovabile e al cui termine se si passa la valutazione si diventa associati; i fondi per diventare associati vengono accantonati nel bilancio di previsione.
A questo contratto TT di 3 anni si può accedere dopo il dottorato se si è abilitati e se si cambia università, altrimenti se si rimane nella stessa università bisogna prima aver fatto un contratto non-TT da max.5 anni.
Anche negli Stati Uniti esistono contratti non-TT (la metà dei posti di ricerca sono coperti da contratti non-TT, e molte università fanno
contratti non-TT per poi trasformarli in TT quando hanno i soldi..).
Della riforma piuttosto vedo due criticità: non è previsto un passaggio da contratto non-TT a TT e nel mondo produttivo italiano un dottorato non conta niente, quindi aver fatto dei contratti non-TT a termine, dopo i quali devi per forza cambiare università (provvedimento di cui comunque capisco il Razionale e che non è sbagliato a priori..) non è molto adatto alla situazione italiana.