ATENEI-FONDAZIONI O RIFONDARE L’UNIVERSITA’ NAZIONALE

1. Atenei in Fondazioni
   a. Già nel 2006
   b. E nel 2008
   c. Oggi
2. Toniolo ha ragione
3. Proposta per rifondare il Sistema nazionale universitario

    L’estensione a tutti gli atenei dell’autonomia differenziata, inserita nella la Legge sulla Semplificazione, mostra con estrema evidenza che si vuole completare il disegno di disarticolazione-scomparsa del Sistema nazionale dell’Università italiana.

    Questo progetto di smantellamento dell’Università, avviato almeno da 30 anni (e non dal 2010 con la legge cosiddetta Gelmini che è “solo” una delle tappe di questo progetto, v. nota), è stato pensato e operato in maniera politicamente e accademicamente trasversale, con la “sovraintendenza” della Confindustria anche attraverso la TreeLLLe.

1. Atenei in Fondazioni

a. Già nel 2006

    In questo quadro, nel corso degli anni, più volte è stata avanzata la richiesta di una più radicale “autonomia” dei singoli atenei attraverso la loro trasformazione in Fondazioni.

    Ne aveva discusso “summit a porte chiuse” il “gotha accademico” già nel marzo 2006 (in occasione della presentazione della proposta di legge presentata alla Camera dall’on. Nicola Rossi (DS) – Cliccare qui. Al “summit” di allora avevano partecipato alcuni rettori e professori e “gli onorevoli Renato Brunetta, Franca Bimbi, Luciano Modica e Walter Tocci”. La proposta di legge di Nicola Rossi prevedeva “che sia consentito agli atenei che lo desiderino di trasformarsi in fondazioni autonome, godendo dei vantaggi e accettando i rischi della competizione sul mercato mondiale della formazione e della ricerca. Ottenere, quindi, autonomia finanziaria, gestionale, didattica e scientifica, prevedendo la facoltà di assumere il personale docente e non docente con contratti di diritto privato, organizzare l’intera struttura della didattica e acquisire risorse da destinare alle attività statutarie della fondazione.”

    Quella proposta, illustrata da Nicola Rossi e Gianni Toniolo, aveva, sostanzialmente, gli stessi contenuti della scheda “L’Università che vogliamo creare” elaborata da Toniolo e proposta per il Programma dell’Unione e aveva gli stessi contenuti dell’intervento di Rossi e Toniolo sul Riformista del 6 luglio 2005: “Cari colleghi, se la riforma è impossibile allora riproviamoci con l’autoriforma”. La proposta di legge dell’on. Rossi prevedeva anche la costituzione di una Autorità per la valutazione del sistema delle università e della ricerca per le cui caratteristiche Rossi rinviava alla proposta di legge presentata dall’on. Walter Tocci (DS) e dal sen. Luciano Modica (DS). E alla fine del 2006 il ministro Fabio Mussi (Sinistra Democratica) ha istituito l’ANVUR.

b. E nel 2008

    Nel marzo 2008 sul Sole 24 ore (“Università, la via delle fondazioni”) Gianni Toniolo aveva scritto: “Finalmente un’ottima notizia per l’università italiana, la migliore che abbia sentito in quarant’anni di vita accademica. L’articolo 16 del decreto legge sugli interventi urgenti per l’economia concede agli atenei che lo desiderino la possibilità di trasformarsi in fondazioni di diritto privato”, “una novità dotata di dirompente carica innovativa.” E più oltre Toniolo scriveva: “La concorrenza tra gli atenei è indispensabile all’irrobustimento del nostro gracile sistema universitario.” Precisando che questo nuovo sistema “è incompatibile con la peculiarità tutta italiana dei concorsi nazionali.”

c. Oggi

    Sul Sole24 ore del 21 luglio 2020 (“Una occasione straordinaria per modernizzare l’università”) Gianni Toniolo ripropone la trasformazione degli “atenei in Fondazioni, come suggerimmo anni fa con Nicola Rossi. Non si tratta di ‘privatizzazzione’, ma solo (sic!) di consentire alle università di funzionare secondo le norme del codice civile, invece che del diritto amministrativo.” Toniolo scrive anche: “in tutti i Paesi (quali? ndr) dove le università funzionano bene, esse sono libere nell’assunzione del personale docente e non docente, nelle remunerazioni, nella formulazione dei curricula, nei criteri di ammissione degli studenti, in genere nella gestione delle proprie risorse.” Gianni Toniolo si chiede: “Si creeranno atenei diversi per funzioni e qualità? Non c’è dubbio, ma è una situazione di fatto che sarà aiutata a diventare più funzionale, come auspicato anche dal rapporto Colao. Non tutti gli atenei avranno una vocazione universalistica, non tutti gestiranno programmi di dottorato.”

    Per Gianni Toniolo inoltre “il tabù tutto italiano del valore legale dei titoli va superato”.

2. Toniolo ha ragione

Ha ragione Gianni Toniolo quando afferma che gli atenei sono già diversi. Li hanno resi diversi i concorsi locali (di fatto la libertà-arbitrio del singolo ordinario di di scegliere chi formare, reclutare e fare progredire), l’abolizione dello stato giuridico nazionale dei docenti (diverse mansioni e diverse retribuzioni), l’autonomia statutaria (statuti diversi, ma che per legge devono comunque prevedere un rettore-padrone assoluto), un finanziamento mirato a rafforzare sempre più pochi atenei auto-eccellenti e a emarginare o cancellare tutti gli altri, l’assenza voluta di un organismo nazionale capace di rappresentare e difendere l’autonomia del Sistema universitario lasciando campo libero alla CRUI, di fatto unico e improprio “rappresentante” dell’Università.

3. Proposta per rifondare il Sistema nazionale universitario

    Si propone quanto elaborato per ricostruire il Sistema nazionale universitario. Una ricostruzione che può avvenire solo abbandonando ogni logica e ogni interesse categoriale o sub-categoriale, avendo una visione e una piattaforma complessive e veramente alternative al progetto e alle azioni di chi da decenni sta sistematicamente devastando l’Università statale, in una logica aziendalistica e mercantilistica (usando i finanziamenti pubblici).

    La rifondazione dell’Università richiede un finanziamento che poteva essere già previsto all’interno del Decreto Rilancio e che potrà esserlo ampiamente nell’ambito dei prossimi ingenti finanziamenti europei.

    Questo finanziamento potrà essere utile al Paese solo se contestualmente si rifonda il Sistema nazionale universitario rendendolo autonomo, democratico, efficiente, diffuso nel territorio, aperto a tutti i giovani, senza precariato. Un sistema che garantisca a tutti i docenti-ricercatori la libertà di ricerca fin dalla loro formazione, cancellando ogni forma di subalternità culturale e umana.

    Ecco, in sintesi, le proposte dell’ANDU:

1. costituire un Organismo nazionale, eletto direttamente da tutte le componenti, per rappresentare e coordinare gli Atenei e per difendere l’autonomia del Sistema nazionale universitario dai poteri forti interni (come la CRUI) ed esterni (come la Confindustria), superando la finta autonomia dei singoli Atenei;

2. abolire l’incostituzionale e costosissima ANVUR, voluta per commissariare gli Atenei e per mortificare la libertà di ricerca e di insegnamento, costringendo a pubblicare in modo ossessivo (publish or perish). Cancellare le “annesse” abilitazioni nazionali, foglie di fico dei finti concorsi locali;

3. abolire la costosissima ANR imposta per affiancare l’ANVUR nell’opera di controllo totale dell’Università e della Ricerca;

4. rendere i Senati Accademici organi decisionali e rappresentativi di tutte le componenti, trasformando i Consigli di Amministrazione in organi puramente esecutivi e prevedendo la netta riduzione dei poteri dei Rettori, che non devono fare parte del Senato Accademico;

5. abolire il numero chiuso, strumento di inutile violenza contro il diritto dei giovani a scegliere i corsi di laurea in cui vorrebbero studiare e inoltre assicurare un vero diritto allo studio (borse e alloggi a tutti gli aventi diritto, riduzione delle tasse e ampliamento degli esoneri, strutture adeguate, buona didattica con una adeguata ristrutturazione dei corsi e con un adeguato numero di docenti, ecc.);

6. valorizzare il dottorato di ricerca anche all’esterno dell’Università, aumentare significativamente l’entità delle borse e abolire i dottorati senza borse;

7. bandire immediatamente, su fondi nazionali e oltre al naturale turnover, almeno 20.000 (5000 all’anno) posti di professore di ruolo, unico modo per recuperare i posti in ruolo persi in oltre un decennio e dare un credibile sbocco a buona parte degli attuali precari. Precari da prorogare a domanda fino all’espletamento dei concorsi;

8. superare tutte le attuali figure precarie per sostituirle con una sola figura pre-ruolo di breve durata (tre anni), in numero rapportato agli sbocchi in ruolo, autonoma e adeguatamente garantita e retribuita;

9. costituire un unico ruolo (organico unico) di professore universitario articolato in tre fasce retributive, con uguali compiti e uguali diritti (compreso l’elettorato attivo e passivo) e uguali doveri all’interno di un unico stato giuridico nazionale (uguale in tutti gli Atenei), con la stessa età pensionabile e con gli scatti economici legati esclusivamente all’età di servizio (retribuzione differita). L’ingresso nel ruolo deve avvenire con concorsi nazionali (senza ASN) e il passaggio di fascia deve avvenire, a domanda, attraverso una valutazione complessiva (ricerca e didattica) nazionale individuale. In caso di valutazione positiva, deve conseguire l’automatico riconoscimento della nuova posizione (senza alcun ulteriore “filtro” locale).

L’elettorato passivo deve essere riservato ai professori con anzianità nel ruolo unico di almeno cinque anni.

I vincitori dei concorsi nazionali devono potere scegliere dove prendere servizio, tra le sedi dove sono stati banditi i posti messi a concorso, sulla base di una graduatoria.

Transitorio

Gli attuali ricercatori a tempo indeterminato, i professori associati e i professori ordinari, a domanda, fanno parte rispettivamente della terza, della seconda e della prima fascia, mantenendo all’ingresso l’attuale retribuzione.

A tutti i ricercatori di ruolo e agli associati che hanno conseguito l’ASN deve essere riconosciuto immediatamente e automaticamente il passaggio di fascia, con i relativi incrementi economici a carico dello Stato.

10. eliminare a tutti i livelli i finti concorsi locali e le prove locali, prevedendo che, sempre a tutti i livelli (dal dottorato in poi), le scelte siano operate da parte di commissioni nazionali con tutti i membri sorteggiati tra tutti i docenti, escludendo quelli appartenenti agli Atenei direttamente interessati ai concorsi o alle prove e consentendo la presenza di non più di un docente dello stesso Ateneo. Per le motivazioni dell’abolizione dei concorsi e delle prove locali v. ”Ruolo unico e cancellazione del precariato” cliccando qui.

NOTA.

Le principali tappe della demolizione dell’Università italiana:

Finta autonomia statutaria (1989) per salvaguardare le oligarchie degli atenei, finta autonomia finanziaria (1993) per far gestire agli Atenei la riduzione progressiva dei finanziamenti, finti concorsi locali (1997) e ASN (2010) per dare ulteriore spazio alla cooptazione-arbitrio personale, introduzione del numero chiuso (1999) per negare ai giovani la scelta degli studi, imposizione del “3 + 2″ (2000) con la frammentazione dei saperi, invenzione dell’IIT (2003) costosissimo “giocattolo” ministeriale-confindustriale a discapito dell’Università, istituzione “personalizzata” del SUM di Firenze e dell’IMT di Lucca (2005), svuotamento del CUN (2006) a favore della CRUI, introduzione dell’ANVUR (2006) per commissariare l’Università, messa ad esaurimento del ruolo dei ricercatori (2010) per moltiplicare i precari, cancellazione di ogni parvenza di democrazia negli atenei (2010) con il rettore-padrone assoluto, localizzazione dei collegi di disciplina (2010) per tenere meglio a bada i docenti, istituzione dell’Human Technopole (2016) che è una sorta di duplicazione milanese dell’IIT di Genova, invenzione della costosa Scuola superiore napoletana (2018) – v. “Il Caso della Normale è normale?”, l’istituzione dell’ANR (2019) per controllare ancora di più l’Università e la Ricerca. E anche: Cattedre Natta, scatti premiali ai docenti, borse per studenti eccellenti, aumento delle tasse, finanziamenti per alcuni docenti, finanziamenti per dipartimenti eccellenti, riduzione dei finanziamenti agli Atenei e loro iniqua distribuzione per “merito”, ecc.

4 comments for “ATENEI-FONDAZIONI O RIFONDARE L’UNIVERSITA’ NAZIONALE

  1. Salvatore Nicosia
    25 luglio 2020 at 10:57

    L’Associazione ha fatto e sta facendo un ottimo lavoro, in quasi
    totale solitudine. Vi do atto che ci vuole veramente forza d’animo per
    continuare a credere e a lavorare nella direzione dell’ANDU.
    Personalmente io sono d’accordo con tutte le proposte da voi elencate,
    eccetto quella sul numero chiuso e sul Dottorato.
    Mi sembrano demagogiche e dannose, e fanno credere che nel Paese il
    lavoro ci sarebbe, e i Dottori di Ricerca sarebbero apprezzati e
    assunti… se l’Università non facesse da collo di bottiglia.
    Io credo che le cose stiano esattamente al contrario: l’economia e
    l’amministrazione generale del nostro Paese sono paralitiche, o
    asfittiche, o distorte, definiamole come vogliamo; ed è questo il
    collo di bottiglia per tutti gli aspetti della vita.
    Se il Paese fosse sano e dinamico il problema dell’eccesso di laureati
    e di Dottori si risolverebbe da solo.
    Infine: se vogliamo sottrarre consensi allo schieramento degli
    accademici aziendalisti, io credo che dobbiamo mirare alla
    semplificazione dell’amministrazione degli Atenei.
    Oggi gli acquisti di beni e servizi e gli ordini di missione del
    personale (che sono vitali per poter fare ricerca con ritmi serrati,
    acquisire dati di campo mentre i fenomeni accadono, far manutenzione
    alle stazioni di misura ecc.) obbediscono alle Norme di qualunque Ente
    pubblico, ANCHE PER IMPORTI DI POCHE MIGLIAIA DI EURO. Importi che
    sarebbero considerati piccoli anche in un Comune minore.
    Aggiungi l’esortazione delle Norme sul MEPA a fare la rotazione dei
    fornitori – esortazione che molte Amministrazioni di Atenei applicano
    acriticamente, cioè anche quando tu vuoi comprare un pezzo di ricambio
    oppure un contratto di manutenzione PER UN APPARECCHIO DI UNA DATA E
    PRECISA MARCA – e ottieni praticamente la paralisi operativa
    dell’Università.
    Se noi ricercatori potessimo lavorare con regole oneste ma più
    ragionevoli, forse non saremmo tentati dal progetto delle Università –
    Aziende – Fondazioni.
    Cordialmente
    Salvatore Nicosia

  2. Enrico Napoli
    25 luglio 2020 at 12:10

    Ringrazio l’ANDU per lo sguardo critico e attento che mantengono sui processi che attraversano il mondo universitario.
    Per provare a stimolare la discussione, qualche brevissimo commento sulle proposte dell’ANDU qui richiamate.

    > Ecco, in sintesi, le proposte dell’ANDU:

    > 1. costituire un Organismo nazionale, eletto direttamente da tutte le componenti, per rappresentare e coordinare gli Atenei e per difendere l’autonomia del Sistema nazionale universitario dai poteri forti interni (come la CRUI) ed esterni (come la Confindustria), superando la finta autonomia dei singoli Atenei;

    Assolutamente necessario, ma vedrei più semplice una revisione del CUN, sottraendolo al ruolo di “organo consultivo e propositivo del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca” e trasformandolo in “organo istituzionale di rappresentanza, coordinamento e proposta delle comunità accademiche delle università italiane”.

    > 2. abolire l’incostituzionale e costosissima ANVUR, voluta per commissariare gli Atenei e per mortificare la libertà di ricerca e di insegnamento, costringendo a pubblicare in modo ossessivo (publish or perish). Cancellare le “annesse” abilitazioni nazionali, foglie di fico dei finti concorsi locali;

    Non so se andrebbe abolita l’ANVUR. Non ho mai creduto nella “inemendabilità” delle cose che nascono storte. Ripensato totalmente, reso indipendente dal MUR (ad esempio, con Consiglio Direttivo nominato dal CUN) e con unico obiettivo il miglioramento dell’intero sistema universitario nazionale (con divieto di stilare graduatorie e sollecitare competizioni tra gli Atenei) credo che potrebbe svolgere un ruolo utile. 

    > 3. abolire la costosissima ANR imposta per affiancare l’ANVUR nell’opera di controllo totale dell’Università e della Ricerca;

    Si, senza dubbio.

    > 4. rendere i Senati Accademici organi decisionali e rappresentativi di tutte le componenti, trasformando i Consigli di Amministrazione in organi puramente esecutivi e prevedendo la netta riduzione dei poteri dei Rettori, che non devono fare parte del Senato Accademico;

    Tornerei alla distinzione pre-Gelmini tra Senato e CdA, non limitando però i CdA a ruoli puramente esecutivi. Sul potere dei Rettori, credo che vada cambiata prima di tutto la mentalità dei docenti: perfino la L. 240 assegna pochi poteri ai Rettori (anche se alcune cose, tra cui il potere di avviare l’azione disciplinare, gridano ancora vendetta), sono i professori universitari ad essersi uniformati all’idea che Rettori (o Direttori di Dipartimento) possano comandare e non debbano mai essere contraddetti. Sarò felice quando leggerò in un verbale di Senato o CdA: il rettore propone …..; il Senato (o il CdA) NON approva.

    > 5. abolire il numero chiuso, strumento di inutile violenza contro il diritto dei giovani a scegliere i corsi di laurea in cui vorrebbero studiare e inoltre assicurare un vero diritto allo studio (borse e alloggi a tutti gli aventi diritto, riduzione delle tasse e ampliamento degli esoneri, strutture adeguate, buona didattica con una adeguata ristrutturazione dei corsi e con un adeguato numero di docenti, ecc.);

    Assolutamente giusto, ma con numero di docenti, tutor e strutture adeguati. Altrimenti è solo una presa in giro: entrate tutti e poi vi perderete per strada…

    > 6. valorizzare il dottorato di ricerca anche all’esterno dell’Università, aumentare significativamente l’entità delle borse e abolire i dottorati senza borse;

    Giusto, ma è il sistema economico e del lavoro che deve essere spinto a capire che l’innovazione è necessaria e che un dottore di ricerca ha un “valore” altissimo. Giusto aumentare l’entità delle borse, ma ancora più necessario aumentarne il numero, con incrementi della parte di FFO destinata agli interventi post-lauream. I dottorati senza borsa possono avere un senso in ambiti in cui il dottorando è un lavoratore in aspettativa (ad esempio, i docenti delle scuole, che rafforzano le proprie competenze e poi tornano ad insegnare);

    > 7. bandire immediatamente, su fondi nazionali e oltre al naturale turnover, almeno 20.000 (5000 all’anno) posti di professore di ruolo, unico modo per recuperare i posti in ruolo persi in oltre un decennio e dare un credibile sbocco a buona parte degli attuali precari. Precari da prorogare a domanda fino all’espletamento dei concorsi;

    Nel 2021 entreranno 5.000 RTDb e arriveremo a circa 56.000 docenti universitari, abbastanza vicini ai 60.000 pre-Tremonti. Non credo sia il caso di immettere in servizio 20.000 docenti in 4 anni, perché questo significherebbe saturare il sistema per il successivo decennio e creare dopo nuovo precariato. Vedrei molto meglio un progressivo incremento (ad esempio, 2.000 l’anno per dieci anni). I precari sono ancora tanti, ma non credo siano ancora 20.000 come alcuni anni fa (e non metterei tra i precari i dottorandi, ovviamente).

    > 8. superare tutte le attuali figure precarie per sostituirle con una sola figura pre-ruolo di breve durata (tre anni), in numero rapportato agli sbocchi in ruolo, autonoma e adeguatamente garantita e retribuita;

    Non ci sono più molte figure precarie, però. Credo che possa essere naturale che un certo numero di persone dopo la laurea o il dottorato passino 2 o 3 anni in una università a fare attività di ricerca in attesa di trovare occupazioni stabili in centri di ricerca pubblici o privati diversi dall’università. Andrebbe invece superato il contratto da RTDa (a meno che non sia finanziato su fondi di progetto e rientri quindi nella fattispecie di cui parlavo prima), prevedendo solo la tenure track dell’attuale RTDb (che potrebbe durare anche 5 anni, prevedendo il passaggio ad associato al momento del conseguimento dell’ASN, senza attendere la fine del quinquennio).

    > 9. costituire un unico ruolo (organico unico) di professore universitario articolato in tre fasce retributive, con uguali compiti e uguali diritti (compreso l’elettorato attivo e passivo) e uguali doveri all’interno di un unico stato giuridico nazionale (uguale in tutti gli Atenei), con la stessa età pensionabile e con gli scatti economici legati esclusivamente all’età di servizio (retribuzione differita). L’ingresso nel ruolo deve avvenire con concorsi nazionali (senza ASN) e il passaggio di fascia deve avvenire, a domanda, attraverso una valutazione complessiva (ricerca e didattica) nazionale individuale. In caso di valutazione positiva, deve conseguire l’automatico riconoscimento della nuova posizione (senza alcun ulteriore “filtro” locale).
    L’elettorato passivo deve essere riservato ai professori con anzianità nel ruolo unico di almeno cinque anni.
    I vincitori dei concorsi nazionali devono potere scegliere dove prendere servizio, tra le sedi dove sono stati banditi i posti messi a concorso, sulla base di una graduatoria.
    >
    Transitorio
    > Gli attuali ricercatori a tempo indeterminato, i professori associati e i professori ordinari, a domanda, fanno parte rispettivamente della terza, della seconda e della prima fascia, mantenendo all’ingresso l’attuale retribuzione.
    > A tutti i ricercatori di ruolo e agli associati che hanno conseguito l’ASN deve essere riconosciuto immediatamente e automaticamente il passaggio di fascia, con i relativi incrementi economici a carico dello Stato.

    A parte qualche dettaglio, sicuramente si. 

    > 10. eliminare a tutti i livelli i finti concorsi locali e le prove locali, prevedendo che, sempre a tutti i livelli (dal dottorato in poi), le scelte siano operate da parte di commissioni nazionali con tutti i membri sorteggiati tra tutti i docenti, escludendo quelli appartenenti agli Atenei direttamente interessati ai concorsi o alle prove e consentendo la presenza di non più di un docente dello stesso Ateneo. Per le motivazioni dell’abolizione dei concorsi e delle prove locali.

    Il tema è troppo ampio e troppo complesso per liquidarlo in poche righe. E’ normale che in ogni ateneo in un determinato settore si sviluppino una o più “Scuole” con alcune specificità, legate a ragioni territoriali o storiche (ad esempio nel settore dell’idraulica cui appartengo sarebbe abbastanza naturale che nella pianura padana si specializzino nell’idraulica fluviale e in Sicilia in quella costiera). E quindi può avere un senso che una commissione locale prediliga determinate competenze rispetto ad altre. Questo andrebbe però fatto in modo trasparente, anche tornando all’indicazione, nel bando, del profilo richiesto (quando opportuno e mai ovviamente con profili fotografia). E’ ovvio che un’ipotesi del genere richiederebbe un solido sistema di contrappesi e regole per evitare che il “barone” locale (che non dovrebbe più esistere, ovviamente…) faccia vincere il proprio allievo anche se non lo merita.
    Suggerisco all’ANDU di farsi promotrice di un convegno nazionale sul tema che, ritengo, richiede molti approfondimenti.

    Enrico Napoli

  3. alessandra ciattini
    26 luglio 2020 at 22:18

    sul precariato: le figure non sono poche e il numero dei precari è altissimo (forse 50.000) e non stanno a lavorare da 2/3 anni ma anche da 15 / 20 (quando hanno esaurito assegni e borse gli fanno prendere la partita IVA, senza contare i dottorandi sfruttati).
    sul numero dei docenti: facciamo un parallelo con Francia e Germania, e ricordiamoci la famosa società della conoscenza e l’investimento del 2% del PIL in università e ricerca. Tutte bufale x fare quello che hanno fatto: riduzione degli studenti, bassissimo numero dei laureati, riduzione dei docenti, strutture fatiscenti. E poi se ci sono tutti questi precari 20.000 assunzioni servono.
    demagogia: le richieste dell’ANDU non sono demagogiche perché presuppongono forti investimenti. Se in Italia i laureati non trovano lavoro e se ne vanno all’estero non è un fatto naturale, ma il risultato di scelte politiche ed economiche: svendita del settore industriale pubblico (quello che avvenne nel 1992 sul panfilo Britannia), tagli al settore pubblico in tutti i suoi aspetti (per es. molti musei sono ora gestiti da cooperative che elargiscono salari da fame), deindustrializzazione, delocalizzazione, tagli agli enti locali. Non basta?
    Bisogna far cambiare mentalità ai docenti: sono decenni che cerchiamo di farlo documentando la situazione, ma sembra che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Alessandra Ciattini

  4. Antonio Cortese
    30 luglio 2020 at 09:55

    Un grazie all’ANDU per l’impegno e le battaglie sostenute a favore di una Università Pubblica e Democratica, importantissima al di là delle sue funzioni specifiche in quanto specchio fedele e paradigma dell’organizzazione dell’intero sistema paese.
    Concordo pienamente con le proposte ANDU e mi permetto di aggiungere alcune considerazioni:
    1) Una struttura democratica con separazione dei poteri ha il pregio di creare dei controlli incrociati utili ad evitare una degenerazione del sistema; d’altro canto può scontare una certa inefficienza che può essere eliminata con tracciabilità di risultati e procedure di verifica dei risultati.
    Un sistema verticistico come quello proposto per l’Università espone al rischio grave di degenerazione di sistema per abuso di potere da parte dei vertici soprattutto se poco capaci ed eticamente motivati: proporre poi un sistema verticistico privo di controlli sui vertici è una scelta irrazionale e scellerata creando i presupposti di una sicura degenerazione (un tempio del mobbing) come peraltro già avviene attualmente con note vicende.
    Fondamentale quindi optare per un sistema Democratico con tracciabilità di responsabilità e verifica dei risultati sui vertici sgombrando il campo da tante Agenzie, Enti, Commissioni e burocrazia funzionale solo a sprechi e clientelismo. Una Scelta del modello organizzativo Universitario in senso Democratico è indispensabile per mantenere integri i principi democratici alla base della nostra Costituzione, in quanto il sistema Universitario è strettamente collegato e rappresenta un modello organizzativo per l’intero sistema Paese.
    2) Altro elemento di distorsione sono le cosiddette eccellenze dove per una valutazione meritocratica seria si dovrebbero perequare i risultati in base alle risorse disponibili normalizzando i risultati come avviene in qualsiasi valutazione seria. Anche lo sviluppo economico industriale dell’area di riferimento di ogni singolo Ateneo dovrebbe essere perequata nella attribuzione delle risorse in quanto con un modello di reperimento ed attrazione di risorse finanziarie dal territorio è evidente che si crea una penalizzazione degli Atenei insediati in aree meno sviluppate accentuando così i divari anziché mitigare in contrasto con tutte le politiche sbandierate da governi nazionali ed europei.
    Cordialmente
    Antonio Cortese

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