LA FRITTATA DEGLI STATUTI E LA GIUSTIZIA BARONALE

1. LA FRITTATA DEGLI STATUTI

2. LA GIUSTIZIA BARONALE

1. LA FRITTATA DEGLI STATUTI

a) La ‘guerra giudiziaria’

b) Una nuova legge

c) Un grande movimento

 

a) La ‘guerra giudiziaria’

       Come è noto, il ministro Profumo, ‘coautore’ della legge cosiddetta Gelmini, ha deciso di ricorrere ai TAR (è il primo a farlo) contro gli Atenei che non hanno voluto accogliere i rilievi di legittimità agli Statuti.

     Uno dei più importanti contenuti presi di mira dal Ministro è l’elezione di una parte del Consiglio di Amministrazione, strumento cardine della gestione verticistico-aziendalistica voluta dalla Legge.

     L’esercizio della democrazia, peraltro in misura estremamente limitata, non è considerato compatibile con una gestione degli Atenei che si vuole interamente affidata alle oligarchie locali, ‘allargate’ ai poteri economico-politici del luogo.

    E per impedire che venga ‘attenuato’ (poco) uno dei punti cardine della controriforma, il Ministro non ha esitato a ricorrere contro lo Statuto da lui stesso formalmente votato come rettore del Politecnico di Torino, così come ricorrerà contro quegli Atenei che hanno resistito (come pochi giorni fa quello di Trieste) e resisteranno.

     Insomma, il Ministro ha aperto la ‘guerra giudiziaria’ degli Statuti, con la connessa ‘giungla’ (nel merito e nei tempi) dei pronunciamenti dei vari TAR e poi (quando?) l’ultima parola sarà del Consiglio di Stato, che consacrerà il formale azzeramento della finta autonomia degli Atenei, autonomia che il Ministro ha deciso di ‘trasferire’ all’esterno dell’Università.

     Una guerra che comunque non farà bene agli Atenei, già pesantemente danneggiati da problemi gravissimi: riduzione del diritto allo studio, aumento del precariato, blocco del reclutamento e delle carriere, tagli

b) Una nuova legge

    Anche tenendo conto di questo contesto, è indispensabile fermare la “guerra degli statuti” e ANNULLARE una partita ‘truccata’ da una Legge incostituzionale (che non doveva essere approvata e promulgata) e da un Ministero supponente e pasticcione (v. punto 2, “Statuti: partita ‘truccata’. Una nuova legge”, del precedente messaggio dell’ANDU).

     Cambiare la Legge cosiddetta Gelmini si può, tanto è vero che il Ministro, il Governo e il Parlamento lo stanno facendo, ma per peggiorarla.

     L’ANDU chiede, invece, un provvedimento legislativo urgente che affidi la gestione degli Atenei a organismi costituiti dai rappresentanti direttamente eletti da tutte le componenti e che ne preveda la definizione da parte di ‘organi costituenti’ eletti da tutte le componenti.

      Non c’è altro modo per rimediare all’ennesima ‘frittata’ dopo quelle (tante) fatte in questi decenni.

c) Un grande movimento

     Naturalmente, questo Ministro, questo Governo e questo Parlamento non sono i più adatti per realizzare quella inversione di tendenza che servirebbe per salvare e rilanciare l’Università statale.

     Per questo bisogna attivare una grande opera di convincimento attraverso un grande movimento che coinvolga tutti coloro che considerano l’Università il più importante tra i “beni comuni” da strappare dalle mani di chi vuole, interessatamente, distruggerla.

2. LA GIUSTIZIA BARONALE

a) Modello Tuscia

b) Negli altri Atenei

c) Modello Ministero

d) Primo, tutelare comunque gli ordinari

   Nel marzo 2010 l’ANDU aveva espresso il ‘dubbio’ che con il passaggio da una Corte di disciplina nazionale ai Collegi di disciplina di Ateneo si andasse verso “una casalinga giustizia sommaria, al di fuori di qualsiasi moderno elementare principio giuridico, tanto per fare capire fino in fondo a tutti chi comanda nell’Ateneo.” E nel maggio dello stesso anno l’ANDU aveva individuato nel ”collegio di disciplina di ateneo” un “micidiale strumento di ‘controllo’ dei comportamenti dei docenti.”

     Nel marzo 2011 Marco Mancini, rettore dell’Università della Tuscia e Presidente della CRUI, ha sottolineato l’importanza del Collegio di disciplina, considerandolo un “punto estremamente delicato nella vita prossima futura delle nostre Università” e arrivando a definirlo “strumento efficace di governance”.

a) Modello Tuscia

      E proprio nell’Università della Tuscia è stato previsto un modello di ‘giustizia’ disciplinare che definire medievale sarebbe ingiusto nei confronti del Medio Evo: è il Rettore a scegliere i componenti (3 ordinari, 2 associati e 2 ricercatori) e a scegliere il Presidente del Collegio, lo stesso Rettore a cui spetta “l’avvio del procedimento disciplinare”. Ma non basta: “il Collegio opera secondo il principio fra pari, nel rispetto del contraddittorio, nella composizione limitata alla fascia corrispondente e superiore (sic!) rispetto a quella del docente sottoposto ad azione disciplinare”.

 b) Negli altri Atenei

1) In alcuni Atenei il “principio del giudizio tra pari” è stato applicato come nell’Università della Tuscia: “pari” all’associato e al ricercatore è l’ordinario solo se ad essere giudicato è un ‘non ordinario’, ma l’associato e il ricercatore diventano ‘non pari’ (inferiori) se ad essere giudicato è un ordinario.

2) In altri Atenei il “principio” è stato tradotto nella costituzione di tre “sezioni”: gli ordinari giudicano solo i loro “pari” (gli ordinari), gli associati i loro e i ricercatori i loro.

3) Nel resto degli Atenei, invece, sono stati considerati “pari” tra di loro ordinari, associati e ricercatori: la composizione del Collegio non varia mai e un ordinario può essere giudicato anche da associati e ricercatori. “Pari”, dunque, per il tipo di lavoro svolto e per la comune deontologia, “pari” nel loro dovere di rispettare le regole di comportamento e nella capacità di giudicarne la trasgressione.

 c) Modello Ministero

  Apriti cielo! Anzi, apriti Ministero! Tra i rilievi di illegittimità ministeriali vi è anche quello riguardante i Collegi di disciplina. Secondo il Ministero “pari” significa che gli ordinari sono “pari” agli ordinari, gli associati agli associati e i ricercatori ai ricercatori. Quindi, illegittime sono considerate le composizioni al punto 3). Ma allora anche quelle del punto 1)? No, quelle vanno bene, perché, secondo il Ministero, “pari” significa, in italiano e nel diritto, “almeno pari”. E infatti il Ministero, a quegli Atenei che, per dirla come Alessandro Schiesaro, hanno osato “tradire lo spirito della Legge”, scrive: “il principio del ‘giudizio tra pari’” “presuppone che il Collegio di disciplina sia composto da membri che rivestano una qualifica almeno pari a quella di colui che è assoggettato al procedimento disciplinare”.

      Insomma il Ministero, così come il Presidente della CRUI, ritiene che il comportamento di un ‘superiore’ non possa essere giudicato da un ‘inferiore’, mentre quello di un ‘inferiore’ può essere giudicato dal suo ‘superiore’

d) Primo, tutelare comunque gli ordinari

      Quanto ‘legiferato’ dal Ministero e quanto scelto in alcuni Atenei sul Collegio di disciplina sarebbe da solo sufficiente a mostrare la natura degli interessi che ispirano e hanno ispirato le norme riguardanti l’Università.

     Il Collegio, infatti, è chiamato a giudicare su ‘infrazioni’ disciplinari commesse da ordinari, associati e ricercatori e non deve certo esprimersi sull’attività didattica e di ricerca svolte dai docenti. E, come è noto, per giudicare alcuni reati penali, fanno parte delle Corti di giustizia anche giudici popolari, che non vengono scelti sulla base della loro qualifica professionale (industriali, professionisti, commercianti, operai, casalinghe, ecc.) e tanto meno sulla base della qualifica professionale dell’imputato. Tutto ciò secondo elementari principi di eguaglianza, di giustizia e di democrazia. Invece nell’Università può risultare naturale, logico e giusto che una categoria di possibili imputati venga salvaguardata, evitando di finire sotto un giudizio espresso da un Collegio composto anche da appartenenti a categorie ad essa ‘inferiori’, senza però evitare che gli ‘inferiori’ vengano giudicati dai loro ‘superiori’. Insomma, con una sensibilità giuridica squisitamente accademica, ci si preoccupa di impedire comunque che un ‘reato’ commesso da un ordinario possa costituire per gli appartenenti alle fasce sottostanti un’occasione di ‘rivalsa’ categoriale. Naturalmente viene escluso che ‘astio’ categoriale possa essere espresso da parte degli ordinari nei confronti dei sottostanti.

      L’ANDU ha sempre ritenuto che il Collegio di disciplina (e prima la Corte nazionale di disciplina) debba essere composto da appartenenti alle categorie dei ‘giudicabili’, senza alcuna predeterminazione per fasce dei suoi componenti. Ma se la preoccupazione di difendere gli ordinari dai giudizi espressi da appartenenti alle ‘classi’ subalterne è un ‘valore’ tanto irrinunciabile, la soluzione sarebbe, come scelto da diversi Atenei, quella di costituire di fatto tre Collegi di disciplina distinti, ognuno competente per la propria fascia e composto esclusivamente da appartenenti a quella.

     Certamente, se nella composizione dei Collegi di disciplina ad essere penalizzati fossero stati gli ordinari, si sarebbero già scatenati costituzionalisti e opinionisti (ordinari) e il “governo dei professori” (ordinari) avrebbe già emanato un decreto legge correttivo, altrimenti si invocherebbe l’intervento dell’ONU e della NATO.

1 comment for “LA FRITTATA DEGLI STATUTI E LA GIUSTIZIA BARONALE

  1. 7 aprile 2012 at 21:03

    ma cosa è il “modello Tuscia”? Non sarebbe meglio definirlo il “modello Mancini & C.”?. L’Università della Tuscia è altro rispetto a quanti hanno sottoscritto e ADOTTATO come SA nel 2011 il nuovo Statuto….dico anno 2011 d.C

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