Nel suo intervento sul Corriere della Sera dell’8 maggio 2010 Dario Antiseri sviluppa una analisi ampia e utile sullo ‘stato’ delle tre fasce della docenza (numeri, pensionamenti, compiti) per avanzare “una ragionevole proposta: si dia immediatamente inizio alle procedure di accertamento dell’idoneità scientifica e didattica dei ricercatori a tempo indeterminato e si applichi agli idonei la tenure track prevista, nel nuovo regime, per i ricercatori a tempo determinato (cioè la progressione di carriera fino a professore ordinario, se continuano a venire rispettati tutti i requisiti, ndr).”
Quanto propone Dario Antiseri è quello che propone l’ANDU da tanti anni: un ruolo unico della docenza con il passaggio da una fascia all’altra attraverso un giudizio nazionale e, nel caso di valutazione positiva, il riconoscimento automatico e pieno della nuova posizione raggiunta (senza alcuna ulteriore chiamata). Una tenure track, per l’appunto. L’incremento economico determinato dall’avanzamento di fascia non deve gravare sugli Atenei, ma su uno specifico fondo statale. Per maggiori dettagli v. la seconda parte della Proposta dell’ANDU.
Dario Antiseri però commette due errori perché, evidentemente, non ha potuto seguire l’attività parlamentare. Se l’avesse potuto fare avrebbe, da un lato, saputo che quanto previsto per i ricercatori a tempo determinato è stato accettato da tempo dal Relatore e da tutti i Gruppi parlamentari anche per i ricercatori a tempo indeterminato. D’altro lato, avrebbe constatato che quella prevista, in realtà, non è per nulla una tenure track (anche se in tanti, compresa la CRUI, si ostinano a spacciarla per tale). Infatti è previsto che, dopo l’abilitazione nazionale, ci potrà essere la “chiamata diretta” se l’Ateneo ha i fondi e se decide di spenderli a questo fine. La chiamata diretta, quindi, significherà localismo e nepotismo, se possibile maggiori e peggiori di quelli attualmente praticati nel reclutamento e nelle promozioni.
CHIAMATA DIRETTA NON E’ TENURE TRACK
di Luca Vanzago dell’Università di Pavia
Vorrei chiedervi di aiutarmi a capire di cosa si sta discutendo. Che io sappia la tenure track serve a passare da contratti a tempo determinato a contratti a tempo indeterminato. Questo almeno negli Stati Uniti, da cui si vuole importare il sistema. Un ricercatore a tempo indeterminato, in questo senso, non potrebbe pertanto accedere ad una tenure track perché già in possesso della tenure così intesa. Altro sarebbe dire che si tratta di avviare alla carriera di ordinario. Ma in tal caso c’è una differenza con la “tenure track” italiana per i ricercatori a tempo determinato, che devono diventare associati. A proposito: ma perché non possono diventare innanzi tutto ricercatori a tempo indeterminato, attraverso tale tenure track? Ad ogni modo, bisognerebbe anche considerare che negli USA la tenure track non dà accesso garantito alla tenure, ma è appunto una procedura di valutazione, di solito iniziata dopo cinque anni dal contratto, che serve a verificare (il concetto è cruciale) se il candidato meriti o no una tenure. Non è cioè affatto detto che vi arrivi. Parlare di chiamate dirette mi pare distorcere il concetto, anche se in sé non significa commettere un abuso. Insomma, vi sarei grato di un chiarimento.
Veramente, ciò che propone Antiseri è nei fatti una colossale ope legis, anche se opportunamente premette di essere contrario alle ope legis. E poi, non solo nel ddl non c’è alcuna tenure track, ma il concetto stesso di tenure track per personale già assunato tempo indeterminato è del tutto privo di senso.
TENURE TRACK, DARIO ANTISERI E CURZIO MALTESE
di Francesco di Quarto dell’Università di Palermo
La tenure track e la “chiamata diretta”dopo l’idoneita’ sono un ossimoro salvo che per il parlamento italiano il quale sembra solo il megafono delle consorterie accademiche localistiche le quali temono la perdita del controllo politico delle carriere a livello locale. La presunta tenure track con chiamata locale infatti assomiglia terribilmente alle idoneita’ nazionali a primario nella sanita’ con chiamate locali da parte dei politici di turno a capo delle ASL locali. Basta sostituire ai politici della sanita’ i gruppi di potere locali sede per sede ed il risultato sara’ lo stesso. Se non piace l’idoneo nazionale non lo si “chiama” con tanti saluti alla idoneita’ guadagnata. Il buon senso di Antiseri e’ incompatibile con il costume accademico molto meglio rappresentato dalla frase di Curzio Maltese nel suo articolo di qualche giorno fa: “La qualita’, addirittura l’eccellenza del connazionale, vicino, fratello, non e’ mai fonte d’orgoglio o di stimolo, ma al contrario e’ vissuta come offesa personale, oltraggio e minaccia ai valori fondanti del patto collettivo, primi fra tutti la mediocrita’ e il provincialismo”. Temo che sia piu’ vicino al comune sentire accademico e parlamentare Curzio Maltese che non Dario Antiseri.
Penso che la chiamata diretta dovrebbe essere fatta rispettando la graduatoria della lista nazionale. Se un ricercatore è ultimo nella lista nazionale deve essere chiamato per ultimo.
Si vuole discutere di come rendere equa, efficiente e “moderna” l’Università, sopprimendo la discussione e la risoluzione, dell’unico vero problema che dovrebbe essere risolto , sanare un torto già fatto, una situazione che vedrebbe altrimenti perdere in ogni caso coloro che al palo sono stati messi dai tagli, dai turn over, dalle regole a cui sono stati volenti, nolenti sottomessi: gli attuali Ricercatori. Si ignora che ogni regola che detti come sarà l’Università del futuro non può prescindere da coloro che nell’Università del presente hanno solide radici e che con il loro lavoro non retribuito costituiscono nel 70-80% l’asse portante dei corsi di laurea negli atenei .
Nell’ingiustizia del passato, ne il DDL, ne nessun emendamento governativo vuole affrontare il problema degli attuali Ricercatori. Una posizione miope e corporativa costringe a prendere atto che se l’attuale condizione dei Ricercatori non sarà modificata dal DDL 1905 come richiesto da più parti,tutto ciò provocherà la chiusura degli atenei,attraverso la disobbedienza civile.