Ancora la BUFALA dei “concorsi locali responsabili”

AGGIORNAMENTO del 10.3.10: il sito “Rinnovare le istituzioni” ha ripreso e commentato questo messaggio.

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(SEGNALIAMO le interessanti interviste di Telebue a Denis Brotto e Paola Mura dell’Università di Padova sul DDL governativo)

          Quando è stata imposta la legge Berlinguer sui concorsi locali le argomentazioni usate sono state sostanzialmente le stesse di quelle che oggi sono usate per propagandare la bontà della “chiamata responsabile degli Atenei”.

          Di seguito:

  1. La SINTESI della propaganda del 1996 (Eco, Panebianco, De Rienzo, Schiavone, Pera) a favore dei concorsi locali.
  2. Le PREVISIONI di allora dell’ANDU sulle conseguenze di quella legge. Previsioni che rinnoviamo rispetto al ‘nuovo’ meccanismo concorsuale che i DDL governativo e del PD vogliono ora imporre.
  3. L’’AUTODENUNCIA’ nello stesso DDL governativo della ‘qualità’ del concorso locale.

 1. SINTESI della propaganda mediatica nel 1996 a favore della Legge Berlinguer che ha introdotto i “concorsi finti” a ordinario e ad associato:

- Umberto Eco su Repubblica del 23.7.96 sosteneva che la Legge Berlinguer “cerca di far funzionare l’università come i giornali o un’altra azienda produttiva. Gli atenei diventano responsabili della scelta del professore di cui hanno bisogno. Ma allora avverrebbe quel che avviene per i giornali: alcuni fanno ottime scelte, vendono bene e sono considerati autorevoli, altri fatti male, e tirano a campare. O chiudono”. Se non passa senza sostanziali modifiche la legge Berlinguer “addio Europa”, concludeva. 

- Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 22.7.96 affermava che solo “con l’autonomia e la liberta’ di competizione” si puo’ contrastare il provincialismo”.

- Giorgio De Rienzo sul Corriere della Sera del 6.7.96 scriveva che con le nuove norme della legge Berlinguer “i nuovi concorsi dovrebbero sfuggire alle vecchie logiche mafiose. Infatti sarà più difficile per i membri della commissione stabilire accordi truffaldini, poiché si troveranno a decidere su un solo posto, per un singolo ateneo, e non più posti a livello nazionale.”

- Aldo Schiavone su Repubblica del 24.7.96 asseriva che è “importante non perdere tempo in discussioni improduttive impancate solo per vanificare tutto”. Berlinguer, per “vincere una partita difficile”, “la conduca con freddezza e duttilità – come sa del resto fare”. “Vada per la sua strada, con fermezza e alla luce del sole.”

- Marcello Pera sul Corriere della Sera del 25.7.96: “Finalmente abbiamo un bel ministro di destra – ha esordito il senatore berlusconiano -. Proprio quello che ci voleva! Se ha bisogno di aiuto, eccomi qua”. “L’essenziale e’ resistere alle pressioni del partito trasversale che si oppone al rinnovamento. E’ una lobby potentissima: associati, ricercatori, sindacati dell’università” (in realtà, purtroppo, era solo l’ANDU, ndr

Tra coloro che costituivano ‘l’opinione pubblica’ sulle questioni universitarie, solo Nicola Tranfaglia riconobbe che “il decentramento così realizzato rischia di accentuare gli aspetti di clientelismo e di localismo già forti nelle nostre università.” (da Repubblica del 25.7.96).

Naturalmente l”opinione pubblica’ allora vinse – come sempre – e la Legge Berlinguer fu approvata.

 2. PREVISIONI dell’ANDU.

          Il 27 giugno 1998, prima dell’approvazione della legge Berlinguer, l’ANDU aveva scritto:

       “Con questa legge i concorsi locali ad ordinario e ad associato risulteranno una finzione come da sempre lo sono quelli a ricercatore. Localismo, nepotismo e clientelismo (parole usate oltre dieci anni fa!, ndr), già ampiamente esercitati nei concorsi per l’ingresso nella docenza, saranno praticati anche nell’avanzamento nella carriera, in misura di gran lunga superiore a quanto sperimentato con gli attuali meccanismi concorsuali” (“Università Democratica”, n. 162-163, p. 5).

         E nel dicembre 1998 l’ANDU ha aggiunto: “ora anche la carriera deve essere decisa attraverso una cooptazione personale da parte di quelli che una volta si chiamavano baroni ed è ad essi che bisognerà affidarsi, con adeguati comportamenti anche umani, per vincere concorsi che sono considerati, non a torto, una mera perdita di tempo, un fastidioso ritardo all’attuazione di una scelta già operata.” (“Università Democratica”, n. 168-169, p. 7).

 3. ‘AUTODENUNCIA’ nel DDL governativo.

         Che il concorso locale equivalga ad una cooptazione personale lo attesta quanto contenuto nello stesso DDL governativo che al comma 9 dell’art. 12 prevede il “finanziamento di bandi per il reclutamento di ricercatori a tempo determinato da destinare” “su base nazionale” “a giovani studiosi di elevate e comprovate capacità” “previa presentazione di specifici programmi di ricerca. La selezione dei vincitori è affidata a una o più commissioni composte da eminenti studiosi, anche stranieri, designati dal Ministro (sic!) su proposta dell’ANVUR”. Insomma per avere un reclutamento qualificato si affida la scelta a commissioni nazionali. In tal modo esisteranno ricercatori a TD scelti a livello nazionale e ricercatori a TD di produzione locale, di capacità meno elevate e meno comprovate, che serviranno a foraggiare il nepotismo accademico.

9 comments for “Ancora la BUFALA dei “concorsi locali responsabili”

  1. alberto abruzzese
    9 marzo 2010 at 14:23

    COME BONIFICARE L’UNIVERSITA’
    di Alberto Abruzzese dello IULM di Milano

    cari amici,
    non vi leggo costantemente, ma quando vi leggo mi accade spesso di avere qualche cosa da dire (e di interrogarmi su una situazione che come prima caratteristica mi sembra avere quella di non disporre di luoghi in cui si possano condensare le tante tesi che stanno girando senza che i processi riformisti (?) in corso ne risentano (almeno a guardare dall’esterno!).
    La piccola gustosa antologia che avete proposto – evocando vecchi pareri di docenti d’eccellenza – mi conferma nella mia convinzione che andrebbe buttata a mare come zavorra irrecuperabile la massima parte delle contrapposizioni etiche e sindacali che in questi anni hanno intasato, bloccato e deviato una riflessione schietta e consapevole sui concorsi universitari. A me sembra che l’unico modo per bonificare l’università sia quello di rinunciare a qualsiasi concorso che pretenda una onestà di corporazione invece che una professionalità con nome e cognome.

  2. 9 marzo 2010 at 15:21

    UNIVERSITA’ LIBERA DA CONDIZIONAMENTI ECONOMICI E POLITICI
    di Antonino Graziano dell’Università di Catania

    I ricercatori sono impegnati in un lavoro quotidiano condotto con rigore, volto all’eccellenza nella ricerca e nella didattica, senza necessariamente apparire giornalmente sulla stampa locale per dare notizia delle nostre attività che, proprio perché improntate al rigore scientifico, poco si prestano agli schiamazzi di altri che confondono la ricerca con il consenso e la didattica con le manifestazioni politiche. Eppure tale lavoro stenta da circa 20 anni ad essere riconosciuto dal Parlamento. Il DDL governativo riconosca il merito valutando il passato, dia una governace ai sensi dell’art 3 -21 della costituzione, fornisca gli strumenti per una selezione dei docenti più consona alle varie ed articolate realtà ma libera da ogni condizionamento sia economico che politico.

  3. Guido Signorino
    9 marzo 2010 at 17:46

    SE L’ABILITAZIONE E’ INTERNAZIONALE BENE LA CHIAMATA DIRETTA
    di Guido Signorino dell’Università di Messina

    Sì, ma sono una bufala anche i concorsi “local-nazionali” della Gelmini. E, ricordando che “il reale è razionale” (ossia che esiste una razionalità implicita in tutto ciò che accade), sarebbe opportuno riscrivere anche la storia dei concorsi nazionali e tener presenti le ragioni per cui erano stati abbandonati.
    La farsa dei concorsi universitari è in realtà determinata dal fatto che il giudizio sul merito scientifico coincide col momento di assegnazione del posto di ruolo.
    Per evitare abusi, occorrerebbe distinguere il giudizio sul merito dalla disponibilità dei posti di accesso all’Università.
    La valutazione qualitativa dei candidati dovrebbe essere affidata ad una commissione di standing internazionale che valuti la produzione scientifica dei candidati al concorso idoneativo, senza alcun riferimento a posizioni di ruolo da ricoprire.
    Vincoli:
    1) la commissione(i) dovrebbe(ro) essere internazionale(i): ciò per “sprovincializzare” i concorsi e contrastarne nepotismo e “farsità” (leggi: riduzione in farsa);
    2) si dovrebbe porre un vincolo alla ripetibilità del concorso (non più di tre o quattro prove per i candidati nell’arco della vita accademica): ciò per favorire processi di autoselezione responsabile;
    3) non essendovi “posti” disponibili nella fase del giudizio di merito, il compito della commissione dovrebbe essere quello di definire l’altezza dell’asticella che si ritiene adeguata per le posizioni valutate, ossia indicare gli standard ritenuti necessari per essere riconosciuti “ricercatore”, “professore associato”, “professore ordinario”, non definendo “graduatorie”, ma attribuendo un titolo tipo “tenureship potenziale”.
    In pratica, si creerebbero delle liste di “idonei” cui le Università dovrebbero accedere liberamente.
    Ciascuna Università potrebbe assumere chi vuole in base ad un avviso pubblico ed al confronto tra le caratteristiche del “tenured” e le esigenze specifiche dell’Ateneo, a patto però che la comunità scientifica internazionale abbia riconosciuto ed accreditato, sulla base di criteri rigorosi e trasparenti, il valore scientifico di coloro che accedono ai ruoli universitari.
    Questo sistema dovrebbe essere accompagnato da un meccanismo di distribuzione delle risorse che premi le strutture (Università, Dipartimenti) più produttive. Il tutto in un quadro non di risparmio, ma di investimento serio nel sistema universitario nazionale.
    Guido Signorino

  4. 10 marzo 2010 at 20:29

    VALUTAZIONE INDIPENDENTE DAL CONCORSO
    di Salvatore Nicosia dell’Università di palermo

    La lettera di Signorino mi sembra esemplare per chiarezza e sintesi. E io personalmente sono completamente d’accordo.
    In passato in verità era praticato il rito di partecipare a un concorso che non si sperava di vincere, al solo scopo di “sottoporsi a un giudizio”.
    Mi è sempre apparso un modo tortuoso, accidentato – e con un risultato comunque di sapore amaro – di realizzare la verifica che nella proposta del collega Signorino appare così razionale, così “normale”.
    Una verifica che ai ricercatori di qualunque fascia, bravi ma senza prospettive di ulteriore carriera per mancanza di “posti”, darebbe almeno un riconoscimento pubblico.
    Salvatore Nicosia

  5. 11 marzo 2010 at 10:52

    L’idoneità scientifica nazionale è un concetto valido in sé, ma i dettagli della sua applicazione potrebbero fare la differenza tra una selezione seria e l’ennesima farsa.
    Se vi fa piacere, potete esprimere la vostra opinione cliccando sul mio nome o andando su http://www.surveymonkey.com/s/H3R2XGX
    Grazie a tutti

  6. barbara dirienzo
    11 marzo 2010 at 11:42

    Concordo pienamente con l’analisi fatta da Signorino.

    Barbara Di Rienzo

  7. 12 marzo 2010 at 12:13

    quale idoneità scientfica?
    ou feel the need to review the mechanisms obsolete and cumbersome. and lack of functionality of existing rules regarding the recruitment and career progression of academic staff as well as’ the recruitment of researchers.
    the minister proposes the recognition of these mechanisms
    `the equivalence of fitness achieved as a result of current recruitment procedures (those for evaluation Comparison of Law July 3 1998 No 210) widely contested certification national scientific, as well as’ `the right only for the teachers (not researchers) already in service have access to procedures recruitment regardless of possession of approval National Scientific.

  8. 12 marzo 2010 at 14:27

    TRASFERIMENTI ONEROSI
    di Vincenzo Rapisarda dell’Università di Catania

    Mi permetto segnalare che il mio concorso di ordinario di Psichiatria è stato svolto a Catania per iniziativa del Ministro dell’epoca, on.le prof. Spadolini che ha ritenuto opportuno garantire che tutti gli insegnamenti previsti avessero un titolare, superando la eccessiva libertà delle singole Facoltà nella scelta dei concorsi con l’inconveniente spesso verificatosi in molte sedi di avere troppi titolari in alcuni settori e nessuno in altri.
    Altro inconveniente di questi due ultimi decenni (o quasi) è il carico economico dei trasferimenti a carico della sede che chiede il trasferimento (un miliardo di vecchie lire) per cui le Università si sono provincializzate ed è venuto meno il criterio, quanto mai prezioso, secondo il quale si cominciava da sedi periferiche e poco prestigiose per poi, dopo uno o due trasferimenti, concludere la carriera nelle sedi migliori e di grande tradizione.
    Vincenzo Rapisarda
    (già ordinario di Psichiatria a Catania e Direttore da 30 anni di “Formazione psichiatrica” che da quest’anno ha aggiunto nel titolo “e Scienze umane”).

  9. 13 marzo 2010 at 10:48

    DDL SULL’UNIVERSITA': UNA CONTRORIFORMA
    di Antonino Graziano dell’Università di Catania

    Siamo difronte ad un DDL che non risolve in nessun modo il problema della precarietà né del ricambio generazionale – come propagandato dal Governo – aumentando, invece, il fossato tra tutelati e non tutelati, tra chi è dentro e chi è fuori dal sistema di garanzie sociali;

    – non interviene sulla governance degli atenei per innovarla, ma per chiudere i già irrisori spazi di democrazia e partecipazione delle differenti componenti accademiche e consolidare e rafforzare il potere delle corporazioni responsabili del fallimento dell’università pubblica negli ultimi 30 anni;

    – indebolisce ulteriormente il diritto allo studio, chiedendo agli studenti di indebitarsi “all’americana” attraverso lo strumento del prestito d’onore, mentre la crisi globale – che mostra il fallimento di un sistema fondato sull’indebitamento – richiederebbe una netta inversione di tendenza e di maggiori investimenti per garantire a tutti l’accesso ai livelli più alti dell’istruzione superiore;

    – completa il processo di de-strutturazione e riduzione dell’Università pubblica prefigurando, quindi, un’università complessivamente più piccola, che non risponde alla domanda di maggiore conoscenza e competenze che il nostro paese dovrebbe considerare centrale per le proprie politiche di sviluppo; con l’entrata dei privati negli organi di governo si regalano gli atenei ai poteri locali, senza che questi diano nessun contributo alla crescita dell’università;

    – restituisce alle lobby accademiche il controllo sui concorsi, senza incidere sulle pratiche clientelari e mettendo in competizione i precari e gli attuali ricercatori; servirebbe, invece, un piano straordinario di reclutamento;

    -incurante delle critiche l’esecutivo va avanti,dobbiamo ripristinare la legalità costituzionale nelle università sede di formazione critica del sapere aperto a tutti.

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