L’Università dei ‘bocconiani’ e quella reale

Invitiamo a leggere l’intervento di Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi sul Fatto Quotidiano del 13 dicembre 2009. L’intervento fornisce un’analisi  corretta della situazione dell’Università italiana. C’è una imprecisione quando si sostiene che il DDL governativo prevederebbe che il rettore debba essere eletto “da una ristretta cerchia di professori ordinari”. In realtà il DDL non lo esclude, ma neanche lo prescrive. Su questa stessa questione si invita a leggere un precedente documento.

5 comments for “L’Università dei ‘bocconiani’ e quella reale

  1. Ugo Rossi
    14 dicembre 2009 at 16:44

    VERA E FASULLA TENURE-TRACK
    di Ugo Rossi dell’Università di Cagliari

    Non si capisce perché Sylos Labini e Zapperi, anziché chiedere una vera tenure-track per l’accesso alla posizione di professor associato (in luogo della fasulla tenure-track contenuta nel DDL Gelmini), chiedano di conservare e “tenurizzare” la posizione di ricercatori.

    In tutti i paesi avanzati la posizione di accesso è anche di docenza. Negli Stati Uniti e in molti altri paesi (Olanda, Belgio etc.) l’assistant professor (che diventa eventualmente associate professor in virtù della tenure-track), in Inghilterra e Australia il lecturer, in Francia il maitre de conference etc.

    perché l’Italia dovrebbe conservare l’anomalia del ricercatore a tempo identerminato? E’ giusta l’intenzione del DDL di abolire i “ricercatori a vita”, ancora incerto è però il percorso delineato. Questa è la posizione giusta da tenere!

  2. Gianluca Introzzi
    15 dicembre 2009 at 02:54

    ‘GRANDE’ E ‘PICCOLA’ STAMPA
    di Gianluca Introzzi dell’Università di Pavia

    Peccato che Sylos Labini scriva sul Fatto Quotidiano e i bocconiani sul Corriere, La Stampa, Repubblica e il Sole 24 Ore…

  3. Gianluca Introzzi
    16 dicembre 2009 at 19:13

    TENURE-TRACK AI RICERCATORI
    di Gianluca Introzzi dell’Università di Pavia

    Come non concordare con Ugo Rossi (commento precedente) ?? Ottimo: si cominci a dare la tenure da Associato a tutti quei Ricercatori che da lustri fanno didattica e ricerca (spesso a livelli quantitativi e qualitativi superiori a molti Ordinari), ma che comunque restano Ricercatori. Un sistema baronale, iniquo e scandaloso. Che il DDL Gelmini intende rafforzare, non smantellare…

  4. 16 dicembre 2009 at 20:17

    SE LA CONFERMA A RICERCATORE FOSSE SERIA
    di Nicola Manini dell’Università di Milano

    In effetti Rossi (primo commento) pare un po’ fuori dal mondo.
    L’analisi di Labini e Zapperi e` precisa ed in effetti se la verifica al termine del triennio fosse seria (nazionale, magari addirittura comparativa su tutti i ricercatori assunti nell’anno y-3 in ogni settore, perfino con una percentuale massima di confermati tipo 90%), si sarebbero probabilmente filtrati i (pochi) scansafatiche in una categoria, i ricercatori, che sono attualmente una colonna fondamentale per il funzionamento dell’univ. italiana.

    Certamente la “riforma” del DdL Gelmini si allontana dagli standard contrattuali internazionali, producendo:
    – aumento dei costi (i ric. a tempo determinato sono – giustamente – pagati di piu`);
    – riduzione della produttivita` (chi glielo fa fare a un ricercatore a t. determinato di fare ad es. buona didattica se tanto tra un anno o 2 fara` chissa` che altro lavoro?).

  5. Benito Leoci
    17 dicembre 2009 at 13:33

    A 40-45 ANNI IN RUOLO (FORSE). E POI …
    di Benito Leoci dell’Università del Salento

    In ogni intervento c’è uno spunto positivo: l’ideale sarebbe unirli senza pregiudizi. Ma qual’è il sistema migliore? Con o senza ricercatori? Con o senza Associati? (perchè per insegnare la stessa disciplina sono previsti due tipi di professori?). Nella Federazione Russa, dove le scuole funzionano, non ci sono concorsi. Dopo il PH.D si segue un corso di tre anni ove si impara a fare l’insegnante (da noi questo aspetto è stato da sempre trascurato) e in caso positivo a fine corso si viene inseriti in una lista da dove poi devono attingere le Università per i loro bisogni. Voglio però ricordare ai più giovani come era il sistema da noi, quando mi sono affacciato all’Università (fine anno ’50). Si entrava come assistente ordinario (i bravi a 21 – 23 anni secondo gli studi svolti) e c’erano solo i professori ordinari. Se un assistente non diventava ordinario entro 10 anni era costretto a lasciare l’università ed aveva diritto ad insegnare in un liceo o istituto tecnico. Il giovane che non ce la faceva sapeva che non sarebbe morto di fame… C’era poi una terza figura ovvero il professore libero docente. Costoro erano liberi professionisti o funzionari di altre amministrazioni (medici, ingegneri, avvocati, magistrati, ecc.) che dopo corsi ed esami acquisivano il titolo che era utile sia per la loro professione, sia per l’università che sapeva dove attingere gratuitamente quando aveva bisogno di supplenti. In questi ultimi 50 anni di vita universitaria ho assistito sgomento al processo di smantellamento di un sistema, che tutto sommato aveva fornito all’Italia e al mondo intero fior di fisici, di chimici, ecc., in nome di una parola magica e nefasta: “riforma”!. Fate il confronto con la situazione attuale. Dopo due livelli di lauree, dottorato di ricerca, specializzazioni, si entra normalmente non prima dei 40 anni. Se tutto va bene nei restanti 30 anni buona parte del tempo verrà sprecato in riunioni di ogni tipo (Consigli di Facoltà, di dipartimento, di corsi di laurea, di esami, ecc. ecc.). Il tempo che rimane verrà speso per compilare centinaia di moduli e di domande sperando di acchiappare qualche finanziamento. E il tempo per lo studio e la ricerca? Se tutto va male, a circa 45 anni si sarà costretti a cercare un qualsiasi altro lavoro. Quali saranno i giovani in grado di affrontare questo percorso?

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