Lettera al movimento studentesco

“Lettera aperta al movimento studentesco. Attenti la privatizzazione e’ gia’ iniziata”

da Nuova Ferrara dell’11 novembre 2008:

“Lettera aperta al movimento studentesco.Attenti la privatizzazione e’ gia’ iniziata”

di Alessandro Somma(*)

L’onda della protesta studentesca cresce e sembra dare i suoi primi frutti. Questo almeno indicherebbe la disponibilita’ dell’esecutivo ad avviare un dialogo sulla riforma dell’universita’. Ma siamo sicuri che non sia un trucco, magari per rinviare tutto ai prossimi mesi, quando gli esami e la sospensione dell’attivita’ didattica terranno gli studenti lontani dagli atenei? Siamo sicuri che non si intenda alimentare un costume politico tanto caro alla destra: definire prima in modo unilaterale le compatibilita’ economiche della riforma, peraltro ampiamente delineate nei provvedimenti contestati dal movimento, e poi catturare consenso attorno ai pochi spazi di manovra lasciati alla politica? Ma soprattutto: siamo sicuri che gli interlocutori dell’esecutivo siano davvero in dissenso con l’esecutivo, e che in particolare lo siano l’opposizione e il mondo universitario? Incominciamo da quest’ultimo, indebolito da profonde spaccature interne alla Conferenza dei rettori (Crui), che dovrebbe rappresentare il sistema delle universita’ italiane, e che invece e’ sovente la cassa di risonanza di interessi particolari e non condivisi.
C’e’ infatti una Crui ufficiale, che da tempo assiste inerte alla privatizzazione del sapere, prima invocando un improbabile dialogo con l’esecutivo, e poi evitando di assumere una posizione nettamente contraria alla trasformazione degli atenei in fondazioni. C’è poi una seconda Crui dei virtuosi (Acquis), composta dai rettori degli atenei che intendono operare secondo criteri imprenditoriali ed eliminare i
vincoli di legge all’aumento delle tasse universitarie. Non sono molto diverse le richieste della terza Crui, quella composta dai rettori delle Scuole superiori, come la Scuola normale di Pisa. Sono infine ambigue sul tema della privatizzazione del sapere anche le richieste della quarta Crui, costituita tra i rettori delle universita’ del sud.  Piu’ evidenti sono le contraddizioni del Piddi’, che al Circo Massimo dice
di condividere le istanze del movimento studentesco, e nelle segrete stanze flirta invece con la Gelmini, in linea del resto con il suo programma elettorale: “Ciascun ateneo deve essere libero di di darsi il sistema di governo che ritiene piùadeguato, di stabilire le norme per l’ammissione degli studenti, di fissare liberamente le rette” (punto 7). Del resto il ministro ombra dell’universita’ ha affermato che il suo
partito non e’ contrario alla trasformazione degli atenei in fondazioni. La richiede anzi da tempo, volendola solo affiancare ad una riforma che separi la didattica e la ricerca, affidate ai docenti, dall’amministrazione finanziaria, affidata ad un consiglio di amministrazione in cui siedono i privati. Il dialogo sulla riforma universitaria non puo’ essere lasciato nelle mani della Crui e del Piddi’,accomunati solo dall’essere politicamente delegittimati e culturalmente incapaci di concepire alternative alla privatizzazione del sapere. Se dialogo ci sara’, dovra’ coinvolgere il
movimento studentesco, che dovra’ tuttavia prepararsi ad un impegno lungo ed intenso. Occorrera’ infatti attrezzarsi a riconoscere le molte facce della privatizzazione dell’universita’, ovvero della sottrazione al vaglio democratico (di docenti, personale amministrativo, ricercatori e studenti) delle scelte sulla sua vita interna ed esterna (rapporti con societa’ civile, enti territoriali ed operatori economici). La privatizzazione violenta prima il linguaggio. Trasforma i ricercatori
in capitale umano e i risultati del loro lavoro in prodotti della ricerca, valutati in funzione del loro contributo alla crescita del pil. Gli studenti diventano anonimi consumatori di un servizio calibrato sulle necessita’ del mercato del lavoro. Gli atenei sono tenuti ad essere competitivi e ad affidare le loro scelte a consigli di amministrazione composti da stakeholder. La politica universitaria e’ resa un freddo problema di governance delle performance degli atenei, diretta da patti di
stabilita’ concordati con l’esecutivo (tutte espressioni ricavate da documenti del Piddi’ e delle varie Crui). Il linguaggio prelude a trasformazioni ben piu’ incisive, le rende neutrali, necessarie, inevitabili. Trasformazioni che si sono in parte realizzate, nel silenzio generalizzato. Da tempo molti atenei si sono dotati di fondazioni universitarie, che se da un lato lasciano intatta l’universita’ pubblica, dall’altro rischiano di trasformarla in una bad company, impoverita e spogliata della ricerca e della didattica qualificata (secondo il modello Alitalia). Da tempo si tende a valutare la ricerca secondo criteri che privilegiano il conformismo nelle scienze sociali e l’immediato ritorno economico nelle cosiddette scienze dure. E da tempo i servizi agli studenti, la garanzia sostanziale del diritto allo studio, sono affidati a privati, spesso e volentieri riconducibili agli estremisti cattolici di Cielle.”

(*) Alessandro Somma e’ professore ordinario di Diritto privato comparato nell’Universita’ di Ferrara

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