Tessitore a Mussi: “Un atto di umiltà”

23 novembre 2007 – ANDU
Riportiamo in calce l’interessante intervento di Fulvio Tessitore “L’insostenibile peso dell’Universita'”, apparso sull’Unita’ del 22 novembre 2007.

Fulvio Tessitore nel suo intervento si occupa soprattutto del contenuto della nota 7 riportata a pag. 27 del “Decreto Requisiti Percorsi Formativi”, recentemente firmato dal ministro Fabio Mussi (v. nota 1). In tale nota, al fine di stabilire il rapporto numerico tra le tre fasce della docenza per “definire il corpo docente indispensabile per l’attivazione e il funzionamento di un corso”, si decide che l’attivita’ didattica di un ordinario vale 1, quella di un associato 0,7 e quella di un ricercatore 0,5.

In tal modo, come giustamente osserva Tessitore, “inseguendo la stupida esigenza dell’oggettivita’, ci si e’ affidati alla statistica, addirittura assumendo a metro lo stipendio delle varie categorie dei docenti”, “come se la scienza e l’insegnamento potessero essere ridotti a un gioco matematico.” E Fabio Tessitore, piu’ avanti, aggiunge: “Ancor piu’ grave e’ la implicita valutazione delle varie figure dei docenti in comparazione tra di loro. Se puo’ essere giusta la differenza di funzioni in ragione della maggiore esperienza e conseguita autorevolezza, del tutto assurda e’ una diversita’ sul piano della didattica, giacche’ ben puo’ darsi che un ordinario sia meno bravo ed efficace di un associato o di un ricercatore”.

Su questa stessa questione il 2 novembre 2007 l’ANDU, nel documento “La ‘pietra’ del ‘3+2′”, aveva scritto: “La logica di ‘dare numeri’ adottata dal Ministro lo ha portato anche a decidere per decreto che l’attivita’ di insegnamento svolta da un associato o da un ricercatore vale, d’ufficio, rispettivamente il 70% e il 50% di quella di un ordinario, introducendo cosi’ un’arbitraria e insensata differenziazione gerarchica, non prevista da alcuna legge.” (v. nota 2). Non condividiamo le conclusioni che Fulvio Tessitore trae dalla sua corretta analisi quando propone che “per correggere questo errore basterebbe ridurre il fattore di calcolo”.

E’ invece indispensabile uscire dalla ‘logica’ dei numeri ed eliminare del tutto l’insensata e illegittima misurazione ministeriale del valore ‘oggettivo’ dell’attivita’ didattica dei docenti.

Nota 1. Per il testo del “Decreto Requisiti Percorsi Formativi”, recentemente firmato dal Ministro: http://www.miur.it/Miur/UserFiles/Notizie/2007/DMrequisitisucarta.pdf
Nota 2. Per leggere il documento dell’ANDU “La ‘pietra’ del ‘3+2′” del 2.11.07: http://www.orizzontescuola.it/orizzonte/article17000.html oppure http://unimoreinform.blogspot.com/2007/11/la-pietra-del-32.html

ERRORE E SCUSE.

L’ANDU, in diversi suoi documenti, si e’ occupata dell’emendamento presentato e approvato alla Camera con il quale si attribuisce all’ANVUR la verifica dei ricercatori dopo i primi anni del loro reclutamento. In alcuni di questi documenti si e’ attributo all’on. Fulvio Tessitore la ‘qualifica’ di primo firmatario dell’emendamento, quando in realta’ ad esserlo e’ l’on. Walter Tocci. Si e’ trattato di un errore materiale – e di nient’altro – per il quale ci siamo gia’ scusati con i due Deputati.

Dall’Unita’ del 22 novembre 2007: “L’insostenibile peso dell’Universita'”
Fulvio Tessitore

L’Universita’ italiana soffre di molti mali, qualcuno dei quali, paradossalmente, e’ il volto negativo di fatti positivi, meglio, che avrebbero potuto essere il vero punto di svolta verso il necessario, indifferibile rinnovamento della nostra vecchia, gloriosa universita’. Mi riferisco al ritardato riconoscimento dell’autonomia, concessa nel 1994, pero’ senza definire lucidamente il suo significato e le regole della sua gestione. Su quel provvedimento legislativo, che dopo cinquant’anni soddisfaceva una previsione costituzionale, si accalcarono una serie di equivoci, peggio di errori. Non si volle capire che l’autonomia e’ un principio positivo, il quale dalla filosofia (basta ricordare la distinzione kantiana tra autonomia ed eteronomia) passo’ nel diritto.

Si disse che autonomia significa la possibilita’ di fare tutto quanto non e’ proibito dalla legge. Una vera aberrazione. L’autonomia e’ un criterio di governo, che richiede regole precise e il rispetto di queste regole: altro che arbitrio! Ancora, non si preciso’ la differenza tra “l’autonomia del sistema” universitario e “l’autonomia delle parti”, ossia i singoli atenei. Cio’ sovrappose arbitri ad arbitri, fece perdere al ministero il ruolo della programmazione, verifica e controllo, provoco’ una vera e propria dissoluzione istituzionale delle singole parti.

Una delle piu’ nefaste conseguenze di cio’ e’ stata la proliferazione indiscriminata dei corsi di laurea, gia’ raddoppiati dalla legge che istitui’ il sistema segmentato di ciascuna laurea in due percorsi, quello triennale e quello specialistico o magistrale. Le conseguenza sono state devastanti; non si e’ tenuto in conto l’interesse dei giovani, abbagliati da corsi di laurea apparentemente nuovi, originali, in realta’ sforniti di qualsivoglia dignita’ culturale, di qualsiasi funzione formativa e destinazione professionale.

E’ percio’ del tutto giustificato, direi sacrosanto l’intervento del governo per porre un argine al negativo scenario sopra descritto, con la prescrizione di “requisiti minimi” per attivare e mantenere in vita corsi di laurea di efficace validita’. Si deve percio’ elogiare il ministro dell’Universita’ per questa decisione, forse tardiva. Cio’ che non funziona e bisogna chiedere al ministro di modificare sono i criteri adottati per definire il corpo docente indispensabile per l’attivazione e il funzionamento di un corso.

Inseguendo la stupida esigenza dell’oggettivita’, ci si e’ affidati alla statistica, addirittura assumendo a metro lo stipendio delle varie categorie di docenti. Cosi’, stabilito che un ordinario vale un punto, un associato 0,7 e un ricercatore 0,5, si e’ calcolata una media tra questi dati numerici, per ottenere la figura ideale del “docente equivalente”, vale a dire un docente immaginario, qualcosa che non si sa bene che cosa significhi, come se la scienza e l’insegnamento potessero essere ridotti a un gioco matematico.

Ma andiamo avanti. Stabilito che il “docente equivalente” ha peso 0,8, che e’ il peso minimo della media tra i docenti di ruolo impegnati in un corso, se ne son cavate le conseguenze. E allora, per ottenere il coefficiente minimo servono 6 ordinari, 3 associati e 3 ricercatori in un corso triennale o di base, 4 ordinari, 2 associati e 2 ricercatori per un corso biennale o specialistico.

La raffigurazione che vien fuori del corpo docente e’ quella della piramide rovesciata, ossia il contrario di cio’ che sarebbe logico (una larga base e un ristretto vertice). Ancor piu’ grave e’ la implicita valutazione delle varie figure dei docenti in comparazione tra di loro. Se puo’ essere giusta la differenza di funzioni in ragione della maggiore esperienza e conseguita autorevolezza, del tutto assurda e’ una diversita’ sul piano della didattica, giacche’ ben puo’ darsi che un ordinario sia meno bravo ed efficace di un associato o di un ricercatore (varra’ non dimenticare che per conseguire l’associazione bisogna superare anche una prova didattica). Ne’ basta.

Si dice che bisogna non disperdere le giovani energie e favorire l’immissione in ruolo dei ricercatori (che si vorrebbero trasformare in terza fascia della docenza). Orbene il sistema escogitato contrasta con tali progetti. Se servono piu’ ordinari per garantire la sopravvivenza di un corso di laurea, e’ facile immaginare che le sedi favoriranno l’avanzamento di carriera a danno delle nuove immissioni.

Insomma un gran pasticcio, un ulteriore caso di effetto negativo di una giusta esigenza mal regolata per ignoranza della situazione e della logica organica di un sistema complesso che non tollera interventi settoriali e demagogici. Per correggere questo errore basterebbe ridurre il fattore di calcolo da 0,8 a 0,7 o 0,6 e si otterrebbe un sistema equilibrato senza favorire parcellizzazioni e dannose proliferazioni. C’e’ da augurarsi che il ministro sappia compiere un atto di umilta’, che e’ l’espressione della competenza e della dignita’.”

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