MINISTERO, PRECARIATO E ANVUR

Il ministro Fabio Mussi ha piu’ volte affermato che “l’eta’ del nostro corpo docente e’ la piu’ alta del mondo”. L’ha ripetuto anche nell’intervista al Messaggero del 15 giugno 2007 (nota 1). Quanto sostiene il Ministro sarebbe forse vero se ci si riferisse soltanto ai docenti di ruolo, ma non lo e’ se – piu’ correttamente – si considerano anche i docenti precari, che sono tanti e indispensabili, malpagati e
maltrattati, come lo stesso Ministro ha piu’ volte denunciato. Il fatto e’ che l’eta’ media dei docenti di ruolo e’ alta perche’ l’eta’ di coloro che entrano nel ruolo della docenza e’ sempre piu’ alta (35-40 anni), in quanto sempre piu’ lungo e’ il periodo di precariato, frastagliato in molteplici figure (dottorandi, assegnisti, borsisti,
contrattisti, ecc.) e intramezzato dai ‘tempi di attesa’ per il passaggio da una figura all’altra. Il problema non e’ quindi l’eta’ dei docenti in ruolo, ma quello
dell’intollerabile fenomeno del precariato che si traduce in un danno enorme per l’Universita’ e per i diretti interessati.
Il problema del precariato nell’Universita’ italiana va risolto e con urgenza, ma questo non lo si fa certo con i ‘numeri’ indicati dal Ministro che ha affermato: “si dovrebbe arrivare in tre anni all’assunzione di 3500, 4000 nuovi ricercatori” (dall’intervista citata). Tenendo anche conto che nei prossimi anni andra’ in pensione la meta’ degli attuali circa 60.000 docenti di ruolo, e’ invece INDISPENSABILE che nei prossimi due-tre anni ci sia il bando straordinario, su nuovi specifici e AGGIUNTIVI fondi statali, di almeno 20.000 posti nel ruolo dei ricercatori. E questo non sarebbe certo sufficiente a eliminare il fenomeno del precariato, se CONTESTUALMENTE non si decidesse di CANCELLARE l’attuale giungla di figure precarie, sostituendole tutte con un’UNICA figura per la formazione pre-ruolo. La durata del periodo pre-ruolo in questa unica figura non deve superare i TRE anni e si deve prevedere un numero di posti rapportato agli sbocchi in ruolo. Inoltre per i giovani in formazione in
questa unica figura si deve per legge prevedere liberta’ di ricerca, una retribuzione dignitosa e tutti i diritti (malattia, maternita’/paternita’, ferie, contributi pensionistici, ecc.).
In direzione totalmente opposta andrebbe invece il Ministero se nell’annunciato disegno di legge sulla terza fascia si dovesse prevedere
l’aumento ‘strutturale’ del periodo di precariato fino a 11 (undici!) anni: 3 anni di dottorato prima di potere cominciare 4 anni di assegno di ricerca, quindi un contratto di 4 anni di ricercatore a tempo determinato. A questo lungo periodo andrebbero aggiunti i ‘tempi d’attesa’ per passare da una figura all’altra. Naturalmente ancora peggio sarebbe se gli anni di assegno diventassero 8 (otto!).
In ogni caso si tratterebbe di una follia politica e accademica, che, se approvata dal Parlamento, tradurrebbe ‘finalmente’ in legge il progetto dell’accademia che conta, la quale negli ultimi 20 anni ha invano tentato di farselo approvare attraverso disegni di legge presentati da Ministri e Parlamentari di ‘destra’ e di ‘sinistra’.
La previsione del titolo di dottore di ricerca quale prerequisito per ottenere l’assegno di ricerca costituirebbe una gravissima discriminazione nei confronti di quei precari che non hanno avuto l”opportunita” di accedere al dottorato. Questa scelta potrebbe essere presa in considerazione solo DOPO la cancellazione del precariato e solo DOPO la riforma del dottorato che dovrebbe diventare il terzo (e ultimo) livello della formazione universitaria. Un obiettivo quest’ultimo condiviso dal
sottosegretario Luciano Modica il quale ha anche scritto che va “definitivamente chiarito che il dottorato fa parte della formazione universitaria e non e’ il primo gradino della carriera di docente universitario.”
Gravissima sarebbe anche la previsione che sia l’ANVUR a valutare l’attivita’ scientifica svolta nei primi anni di carriera come ricercatore. Una previsione questa anticostituzionale perche’ lesiva dell’autonomia universitaria che riguarda anche il reclutamento, la carriera e la verifica dei docenti.  Una norma peraltro non prevista nemmeno dal Sistema di valutazione adottato in Gran Bretagna (nota 2), al quale pur fanno riferimento i
fautori nostrani di un’Agenzia ‘forte’.  Una norma che avvierebbe il ‘commissariamento’ dell’Universita’ statale da parte di chi ha operato per la sua distruzione: falsa autonomia finanziaria per ‘gestire’ la progressiva riduzione dei fondi, finta autonomia statutaria, abolizione di fatto del CUN, finti concorsi locali,
fallimentare “3 + 2″, illimitata espansione del precariato, legge Moratti.

16 giugno 2007

Nota 1. Per leggere l’intera intervista:
http://rassegnastampa.unipi.it/rassegna/archivio/2007/06/15SII5202.PDF

Nota 2. Sulla questione della valutazione dei singoli docenti-ricercatori
su “Review of research assessment. Report by Sir Gareth Roberts to the UK
funding bodies”, del maggio 2003, a pag. 10, punto 32, si legge:  “We do not propose that panels formally attach a score to named individuals. It should be a point of principle that we should not report on individuals’ performance on the basis of an assessment which they cannot choose whether or not to enter and which considers a sample of their work which they do not themselves select. If a panel chooses to use ‘researcher-level’ analysis to inform its judgement, we suggest that such analyses should not in any circumstances be retained or disclosed. If it is not possible to avoid retaining and disclosing such analyses, we suggest that they should not form a part of any panel’s working methods. Research assessment should remain an assessment of institutional research quality within a subject area, rather than a review of the performance of individuals.”
(http://www.ra-review.ac.uk/reports/roberts/roberts_summary.pdf).

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