CORRUZIONE STRUTTURALE

     Diffondiamo volentieri il contributo qui allegato di Alessandro Ferrara che affronta il nodo centrale del potere accademico italiano, quello che più volte l’ANDU ha definito il ‘mercato dei concorsi’ e che genera nepotismo, clientelismo e corruzione. Fenomeni questi che non si eliminano né con le campagne talvolta scandalistiche, né con l’Agenzia e nemmeno con la magistratura. Come scrive giustamente Ferrara, il problema è strutturale. E ciò è quanto sostiene da anni anche l’ANDU, che chiede proprio sul piano strutturale un intervento urgente e radicale.  Bisogna infatti fare ‘saltare’ le attuali dinamiche – ben descritte da Ferrara – che rendono subalterno, scientificamente e umanamente, il docente che vuole avanzare nella carriera a chi ‘deve’ trovargli il budget per un finto concorso. Da anni l’ANDU propone il superamento STRUTTURALE dell’attuale insostenibile situazione prevedendo che l’ingresso nel ruolo docente avvenga per concorso nazionale (prevalentemente nella terza fascia) e che il passaggio di fascia avvenga per idoneità nazionale individuale (a numero aperto), con immediato e pieno riconoscimento della nuova qualifica, senza l’ulteriore chiamata della Facoltà dove il docente già lavora e continuerà a lavorare.  Per il passaggio di fascia è INDISPENSABILE prevedere uno specifico budget nazionale per i connessi incrementi stipendiali. Le commissioni nazionali, per i concorsi d’ingresso e per i passaggi di fascia, devono essere interamente sorteggiate e composte di soli ordinari. Solo in tal modo è possibile in Italia impedire la cooptazione personale
e il controllo anche ‘umano’ negli avanzamenti di carriera basato sulla ‘necessità’ di conquistare, caso per caso, il ‘budget differenziale’. Quanto proposto dall’ANDU va nella direzione opposta a quanto previsto dal Progetto di legge Tessitore, presentato assieme ad altri Deputati dell’Ulivo, e alla ‘piramidalizzazione’ della docenza che il ministro Mussi vuole imporre agli Atenei.

11 febbraio 2007

Contributo di Alessandro Ferrara*:

     Aria brutta per i furbi che influenzano i concorsi universitari nella più completa impunità o quasi. Così ha più volte annunciato il Ministro Mussi in uscite pubbliche e interviste. Da più parti si plaude al ruolo dissuasore che la neonata Agenzia di valutazione avrà sul nepotismo endemico della nostra macchina universitaria. La volontà politica sembra esserci. Ma è adeguata la diagnosi? Il Ministro ha dichiarato in un’intervista che il fatto che con qualunque sistema concorsuale fin qui provato si riproduce la stessa corruzione rimanda a “un problema culturale che va risolto prima di dedicarsi alle alchimie del concorso perfetto”. Ma è solo un problema culturale? Una studiosa americana come Susan Rose-Ackerman, famosa nel mondo per i suoi studi comparativi sulla corruzione e autrice di una delle più interessanti analisi sulla lezione che i paesi latinoamericani possono trarre dalla vicenda italiana della maxi-tangente Enimont, sostiene che la repressione per via giudiziaria ovunque alla lunga è impotente a contrastare la corruzione se questa gode di un incentivo strutturale nel settore di riferimento. In altri termini, se il guadagno addizionale ottenibile con il comportamento corrotto supera continuativamente e nettamente il rischio di sanzioni, nel lungo periodo la repressione non ce la fa a contrastare il fenomeno. 

      Torniamo al caso dell’università. Se in Italia, a differenza degli USA, non abbiamo tenure-track, ovvero non c’è obbligo per l’università che assume un ricercatore di procurarsi il budget per i suoi futuri avanzamenti di carriera subordinandoli solo a un giudizio di merito, ma se invece il giudizio di merito – emesso da una commissione concorsuale – neanche viene in essere se prima non è stata vinta una dura e vera battaglia per l’impiego delle scarse risorse presenti nelle facoltà, non ci troviamo qui di fronte a un elemento strutturale, e non soltanto culturale, che incentiva la corruzione?  È evidente infatti che le qualità che un candidato deve avere per assicurarsi che fra tutte le aspirazioni di carriera presenti nella sua facoltà proprio la sua, assieme a quella di pochi altri fortunati, si traduca in un bando di concorso e che la volontà di bandire questa piuttosto che quella materia si mantenga per tutto il tempo necessario nelle lunghe stagioni pre-concorsuali italiane (come questa che si annuncia adesso, ad esempio) sono qualità completamente diverse dal chinare il capo sui libri. Bisogna tenere insieme maggioranze, stringere accordi, fare patti, poi eleggere commissari, tutte lodevoli attività ma che disgraziatamente richiedono capacità che con l’eccellenza nello s tudio mantengono un rapporto assai tenue.  E se stesse proprio nella “marcia in più” (in più rispetto alla qualità dei propri studi) che è oggi condizione necessaria per vincere un concorso – in primis la capacità di tessere rapporti che conducano al famoso “bando di concorso”, di proporsi come centro di una rete, di ottenere l’elezione di commissari ben disposti, di mantenere questa buona disposizione nel tempo, ecc – se fosse in questa variabile strutturale, e per nulla solo culturale, la spiegazione dell’ostinato persistere di quella corruzione che ha reso il termine italiano “concorso” una parola nota ai colleghi stranieri, in cui suscita sempre un sorriso? Se fosse qui una delle ragioni del suo resistere a ogni riforma? 

     La conclusione da trarne sarebbe che è vana la speranza di contrastarla con la magistratura – strada che fra l’altro impone più rischi al ricorrente, colpito da immediato ostracismo, che al corrotto, certo che una eventuale condanna ci metterà anni a colpirlo – se non si attaccano le basi strutturali della corruzione. Adottiamolo davvero, il sistema americano della tenure-track ed elimineremo le premesse sui cui poggiano i comportamenti corrotti nostrani. Il cambio di “cultura istituzionale” seguirà allora, con i suoi tempi e l’aiuto della repressione giudiziaria.

*Alessandro Ferrara è ordinario di Filosofia politica presso l’Università di Roma “Tor Vergata” e Presidente della Società Italiana di Filosofia Politica

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