“3 + 2″: UN CONVEGNO?

 I precedenti interventi sul “3 + 2″ da noi diffusi, compresi quelli qui riportati di Bernardini, Morlicchio, Ortoleva e Pallottino, mostrano che il problema c’è e che le posizioni espresse, anche le più diverse, costituiscono un davvero ‘ottimo e abbondante’ materiale per elaborare un contributo ragionato e ‘unitario’ alla comunque necessaria verifica-monitoraggio della riforma didattica, per consentire un adeguato intervento nell’interesse degli Studenti e del Paese. Intervento che, ovviamente, spetterà al Governo e al Parlamento decidere, con il necessario coinvolgimento di tutto il mondo universitario, compresi degli studenti. In questa direzione proponiamo a tutti coloro che hanno partecipato al confronto on-line di partecipare anche ad un Convegno da tenersi a Roma martedì 4 luglio 2006 (mattina e pomeriggio). Siamo convinti che un confronto diretto e pubblico certamente ‘arricchirà’ le opinioni di tutti e forse potrà contribuire a ‘praticare’ forme più partecipate per affrontare e risolvere questioni fondamentali per l’Università. Altrimenti avranno campo solo coloro che hanno esclusivo ‘diritto d’accesso’ alla ‘grande’ stampa dalla quale ora vengono lanciati ‘suggerimenti’ al nuovo Ministro, come fa su Repubblica dell’8.6.06 Aldo Schiavone (v. nota), che con la Fondazione di Magna Carta (presidente Marcello Pera) ha attivamente sostenuto la Legge Moratti. Invitiamo coloro che sono intervenuti on-line e tutti coloro che sono interessati a comunicarci al più presto la loro disponibilità a partecipare
di persona al Convegno in modo da consentirci di decidere se ci sono o meno le condizioni per promuoverlo.

Nota. Per leggere l’intervento di Aldo Schiavone (“Eguaglianza e competizione la scommessa dell’università”) su Repubblica dell’8.6.06:
http://rassegnastampa.u nipi.it/rassegna/arch ivio/2006/ 06/08VE24015.PDF

da Carlo BERNARDINI (Roma La Sapienza)

Cari amici, non voglio tediarvi, ma c’è qualcosa che non va: le posizioni si stanno polarizzando senza che si avvii un filone positivo. Sul piano delle mere constatazioni, Martinotti ha ragione: i fisici sono un pezzo del mondo, sotto molti punti di vista, esiguo e insignificante. Ma se sono un’isola felice, un motivo ci sarà. Escluderei che sia la fisica, roba tosta che non adesca certo. Però, ricordo che Edoardo Amaldi, nostro “padre spirituale”, che Martinotti ha certo conosciuto, diceva sempre “litigate a fondo in casa ma all’esterno presentatevi compatti con richieste unanimi, vedrete che sarete soddisfatti”. Per mia esperienza, molti intellettuali troppo individualisti fanno una fatica terribile a trovare ragionevoli accordi. Questa non è autonomia: l’autonomia è del corpo accademico, non degli
individui. Sennò, se prevale l’individualismo, parliamo di anarchia che è più corretto. Penso che se si fa lo sforzo di confezionare proposte di curricula che hanno un senso senza apparire come antichi percorsi potati sino all’uccisione della pianta, l’approccio sia più dignitoso. Insomma, proviamo a partire dall’osservare che 3+2=5 e che 5 è più di 4, durata dei vecchi corsi; e organizziamo le cose in modo che fermandosi a 3 ci sia un mestiere di ripiego riconosciuto dal mondo del lavoro. Per i fisici, so cos’è: il “tecnico di laboratorio” è scomparso inopportunamente dalle scuole superiori; molte ditte e gli ospedali hanno bisogno di persone che facciano funzionare gli strumenti, eccetera. Anche per un matematico da 3 saprei dire che cosa ci sarebbe, e così chimici e biologi (laboratori d’analisi, per esempio). Qualcuno ha fatto l’esercizio per gli storici e i filosofi? Senza offesa, mi presterei volentieri a farlo io, le idee non mi mancano. Mi
mancano per il latino, è vero, ma anelo a sentire sprazzi di creatività e fantasia da colleghi competenti. Eccetera. Insomma, autonomia è anche avere chiaro ciò che si sa fare e apprezzare ciò che altri vorrebbero fosse fatto, contribuendo a farlo. Altrimenti, l’università è da buttare, nel senso che può essere sostituita da un club in cui si legge, si scrive e si beve un bicchierino, mentre gli studenti guardano dalla finestra sognando di essere ammessi come da bambini si sogna di essere Robin Hood. Grazie dell’ospitalità, se la ritenete opportuna. Non vi assillerò più: come diceva Peppino De Filippo “ho detto tutto”. Con saluti Carlo Bernardini

da Enrica MORLICCHIO (Napoli Federico II)

Desidero inserirmi nell’interessante dibattito on-line sul “3+2″ e dintorni ricordando che gli “imponibili di manodopera” (il riferimento è all’intervento di Guido Martinotti – v. nota, ndr) sono possibili solo negli Atenei maggiormente dotati di risorse, tra i quali non rientrano quelli del Mezzogiorno, penalizzati da meccanismi di ripartizione basati su indicatori sensibili al contesto. Il mio carico didattico ammonta attualmente a 18 crediti a cui si aggiungono le lezioni nei corsi di
Dottorato e la partecipazione a innumerevoli e spesso inutili commissioni
didattiche e di indirizzo e molti miei colleghi e colleghe sono nella stessa (o peggiore) condizione. La possibilità di fare ricerca, in questo caso, si fonda soltanto sulla buona forma fisica dei singoli che li rende resistenti alla fatica e alla mancanza di sonno. L’esiguità del numero di assegni di ricerca disponibili è tale da rendere difficile il reclutamento di giovani ricercatori e la formazione di gruppi di ricerca dotati di un minore turn-over. I toni particolarmente accesi della discussione nascono anche da questa frustrazione, e vanno forse capiti e condivisi, fermo restando l’invito di Martinotti a dare una maggiore base scientifica alla proprie affermazioni

Enrica Morlicchio
Professore associato di sociologia dello sviluppo
Facoltà di Sociologia
Università degli Studi di Napoli Federico II

Peppino ORTOLEVA (Torino Statale)

Cari amici,
vorrei esprimere il mio apprezzamento per l’intervento del mio vecchio amico e sodale Carlo Bernardini. C’è un bellissimo passo di Adorno, in Minima Moralia, che riprendo a memoria: “Tra nostalgia del luminoso passato e adattamento rassegnato al presente l’intellettuale finisce sempre con lo sbagliare, perché la scelta è tra diventare un adulto come tutti gli altri e rimanere per sempre un bambino”. Perdonerete le imprecisioni, ma il senso è quello. Nel dibattito attuale sul 3+2, e in generale sul che fare dell’ordinamento universitario mi pare si caschi in pieno in questo dilemma: da un lato i Citati che soloneggiano in nome di un’idea di università da conversazione al bar; dall’altro i modernizzatori stile “MIT di Genova” (già solo la formula fa rabbrividire, per non parlare degli immensi stanziamenti destinati a un guscio vuoto, e che finiranno come sempre in edilizia, la madre di tutte le tangenti). Il 3+2 è stato introdotto male, in modo tardivo e frettoloso; gli umanisti alla Citati hanno fatto di tutto per volgerlo a proprio favore, facendone un puro prolungamento dei corsi quadriennali, senza nessuno sforzo per cogliere le potenzialità. Adesso il coro sembra dominato da un motivo unificante: come si stava meglio prima. L’università italiana sta perdendosi ormai da molti anni, il 3+2 è un comodo capro espiatorio. Se si cerca di abolirlo ora si blocca di nuovo tutto per anni e basta. E’ questo che vogliamo? O non conviene pensare che a questo punto l’urgenza è dare un senso al 3+2 e capire le cause vere di una degradazione progressiva che ormai si avvicina alla catastrofe?
Con molti cari saluti
Peppino Ortoleva
straordinario di storia dei media
Università di Torino

Giovanni PALLOTTINO (Roma La Sapienza)

Vedo che c’e’ un notevole dibattito sul 3+2 e dintorni con molte opinioni che girano. Puo’ essere utile, invece, occuparsi dei fatti, in particolare di come noi abbiamo scelto di riformare gli studi di Fisica alla Sapienza. L’articolo e’ stato pubblicato sul Nuovo Saggiatore (2003)http://www.roma1.infn.it/rog/pallottino/articoli%20didattici/riforma%20a%20F
isica%20NS%202003.pdf
E’ certamente datato, ma forse di qualche interesse anche oggi.
Cordialmente
Giovanni V. Pallottino

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