La falsa America dei nostri “grandi” riformatori

Anticipiamo, con l’autorizzazione dell’Autore, una parte dell’intervento,
dal titolo “Modello americano? Altro che precarietà”, di Alessandro Ferrara, che uscirà sul n. 83 di RESET, maggio-giugno 2004, che conterrà un dossier dedicato all’università.La testimonianza sotto riportata mostra ancora una volta come l’America che la lobby accademica italiana vuole imporre all’Italia sia una loro invenzione. Dell’America vera i nostri “grandi” riformatori, che in tutti questi anni hanno mostrato ampiamente di essere in realtà degli “apprendisti stregoni”, “dimenticano” la progressione di carriera descritta nell’articolo: si avanza per giudizi di idoneità individuali, cioè senza comparazione-competizione, “trasformando” via via il proprio posto. Essi “dimenticano” anche che il neo-docente universitario in America non è, di fatto, mai reclutato nell’Ateneo in cui ha svolto i suoi studi e che esso dispone di piena autonomia scientifica e didattica, nonché della piena responsabilità dei fondi di ricerca. Insomma, l’esatto contrario di quanto avviene in Italia e di quanto avverrebbe ancor più con la riforma De Maio-Moratti.
Su queste stesse questioni invitiamo a leggere il documento dell’ANDU
“Americani, ma non troppo” del 7.4.03 (http://www.bur.it/sezioni/sez_andu.php Mercoledì 09/04). 

Dall’intervento “Modello americano? Altro che precarietà”, di Alessandro Ferrara, che uscirà sul n. 83 di RESET, maggio-giugno 2004,:

(.) Ho vissuto abbastanza in uno dei sistemi accademici che maggiormente viene citato ad esempio virtuoso, quello americano, e l’ho conosciuto dall’interno di una delle sue istituzioni di élite, l’Università di California a Berkeley, per potere svolgere questa comparazione di vissuti.
Dunque immaginiamo due giovani studiosi che abbiano la fortuna di essere assunti e inizino la loro carriera accademica: immaginiamo un ricercatore italiano e un assistant professor americano. La prima differenza che salta agli occhi è che il primo è considerato qualcuno che non è un professore a pieno titolo — infatti da noi le fasce della docenza piena sono solo due, quella degli associati e quella degli ordinari — mentre il suo collega americano è considerato un “junior faculty”, un professore a tutti gli effetti, ancorché di primo livello e ancora senza “tenure”, senza posto fisso.
La seconda differenza è che il primo lo si considera, e si considera, “sistemato a vita” – tecnicamente lo diventa solo dopo il giudizio di conferma, che però nella “costituzione materiale” dell’università, concediamolo, è poco più che un timbro di convalida stancamente sbattuto su una pratica. Il secondo, invece, entro 6-7 anni dovrà dimostrare sul campo, attraverso i giudizi di esperti e il voto dei suoi pari in dipartimento, di valere qualcosa, oppure gli verrà dato un altro anno, l’ottavo, per cercarsi un altro posto. Il disegno di legge predisposto dalla Moratti intende introdurre questa seconda logica nel nostro sistema accademico. Non più posto fisso a vita fin dall’inizio, ma un periodo di 5 anni rinnovabile per altri 5 e poi o dentro o fuori. La discussione, con la CRUI e con i sindacati, sembra vertere sull’opportunità di fornire o meno un paracadute a chi si ritrova in mano la carta “fuori” – per esempio il diritto a passare, come si dice, “ad altra amministrazione” piuttosto che ad ingrossare le fila dei disoccupati. Si sostiene che questa “precarietà”,sia pure con il paracadute, stimolerebbe la produzione di creatività.
Ciò che il governo non dice, e che vizia tutto il ragionamento, è che accanto a questa differenza ve ne è un’altra, la quale cambia tutto il contesto. Quando il nostro giovane studioso americano è assunto come assistant professor in una cosiddetta “tenure track position” – cioè uno di quei posti con proseguimento possibile di carriera, piuttosto che in uno dei tanti posti “a binario morto” che stanno diventando sempre più la norma- l’università ha già previsto in bilancio i fondi necessari al suo proseguimento di carriera. Dal primo giorno in cui John Smith prende servizio da assistant professor già ci sono i fondi con cui sarà pagato da full professor. Lui deve solo pensare a ottenere il riconoscimento degli studiosi della sua disciplina – poi vedremo cosa questo vuol dire. In Italia invece, il primo giorno che Mario Rossi prende servizio da ricercatore, non solo non c’è stanziato un bel niente riguardo al suo proseguimento di carriera, ma ad ogni passaggio della carriera lo aspettando vari colli di bottiglia budgetari che nulla hanno a che vedere con il suo merito scientifico. Mi spiego. Se in una nostra facoltà operano 50 ricercatori, non solo non esistono stanziati i fondi per pagarli un giorno da associati e, più avanti, da ordinari, ma nessuno neppure si sogna di stanziarli. Il risultato è che se una facoltà, in anni di vacche grasse, ha fondi per “bandire” 3 o 4 posti di associato, quei 50 ricercatori saranno degli sciocchi se penseranno solo a “far bene il loro lavoro”, e saranno invece assai avveduti se baderanno a quali posti in quali materie verranno messi a concorso. Anche un idiota capirebbe infatti che è perfettamente inutile, ai fini della carriera, essere un bravo filosofo morale se poi non si è in grado di impedire che la facoltà nel suo complesso scelga di bandire un concorso di numismatica o di archeologia o di sociologia del turismo. Dunque manca al nostro “ricercatore a vita” la serenità del sapere che “basta” diventare un bravo studioso della sua materia per garantirsi una legittima aspettativa di carriera. Dovrà spendere molte ore al telefono, ossequiare molti potenti, evitare di alienarsene altri, non per stabilire il suo merito scientifico, ma per porre in essere il tavolo dove il suo merito scientifico possa esser fatto valere. Se John Rawls fosse vissuto in Italia non sarebbe mai potuto
diventare John Rawls perchè avrebbe dovuto spendere almeno metà del tempo speso a scrivere Una teoria della giustizia ad assicurarsi che la sua facoltà non scegliesse di bandire un ordinariato di estetica piuttosto che di filosofia politica. Un miserabile indennizzo, una miserabile consolazione è nel fatto che questo nostro ricercatore con davanti due strettoie indipendenti dal merito e sconosciute al collega americano – la scelta della facoltà di bandire proprio nella sua materia il concorso che lo farà passare ad associato e poi quello che lo farà passare da associato a ordinario – almeno non deve temere per il suo posto. Togliamogli questa sicurezza e recluteremo ricercatori solo tra i masochisti. (.)

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *