PRIMA DE MAIO-MORATTI, POI LA CRUI E ORA L'”AFFARE” AL SENATO

Stati giuridici dei docenti universitari

PRIMA DE MAIO-MORATTI, POI LA CRUI

E ORA L'”AFFARE” AL SENATO

Dopo il lancio giornalistico (il ‘Tempo’ ha addirittura titolato “Finisce l’epoca dei baroni”) del progetto De Maio-Moratti di riforma dello stato giuridico dei docenti universitari, la CRUI ha recentemente elaborato una “Bozza di documento sui principi generali di una possibile riforma dello stato giuridico dei docenti universitari”.

Si ricorda che il progetto De Maio-Moratti intende cancellare l’attuale ruolo dei ricercatori per sostituirlo con una figura precaria di durata decennale e mantenere i concorsi quali meccanismi per il passaggio da una fascia all’altra. Concorsi che, invece di essere ‘sparpagliati’ come quelli attuali, verrebbero concentrati in un’unica commissione nazionale, mantenendo il potere di chiamata delle facoltà alle quali verrebbe attribuito anche il potere di conferma (v. documento dell’ANDU “Progetto De Maio-Moratti. Pessimo e pericoloso”).

Il documento della CRUI contiene tanti buoni “principi fondamentali” tra i quali quello che “il docente universitario dovrebbe essere inamovibile”. Principio che viene sostanziato nel documento con la non previsione del licenziamento in caso di esito negativo della verifica periodica dei docenti; licenziamento che è invece previsto nei progetti di legge presentati al Senato da Asciutti di FI e da Tessitore-Villone dell’Ulivo.

Tra i “principi fondamentali” elencati dalla CRUI vi sono anche quello della “libertà della scienza e del suo insegnamento”, con “libertà di manifestazione del pensiero sia nell’ambito didattico che in quello scientifico”, e quello secondo cui “nessun rapporto gerarchico dovrebbe esistere tra i docenti”.

Oggi nell’Università non a tutti i docenti è garantita la libertà di ricerca e di insegnamento proprio perché vi è un pesantissimo rapporto gerarchico che ‘costringe’ alla dipendenza anche ‘umana’ chi sa che la sua carriera dipende dalla volontà di chi è in grado di ‘operare’ a livello locale per il bando del posto e di ‘organizzare’ a livello nazionale la commissione del finto concorso. Ed è proprio la ‘baracca dei concorsi’ a costituire il cancro dell’Università italiana; cancro che molti di coloro che la gestiscono non vogliono estirpare, inventandosi ‘nuove’ riforme sempre nella logica che “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, come afferma non il Gattopardo, ma il suo rampante e ‘piemontese’ nipote Tancredi.

Il ‘giocattolo dei concorsi’, come strumento per ‘gestire’ la carriera dei propri discepoli, costituisce il maggiore e vitale impegno di non pochi docenti. E per la conservazione di esso gran parte dell’accademia non vede o sopporta o condivide il processo di distruzione del sistema nazionale delle università pubbliche.

“Concorsi sempre e comunque” è il “principio fondamentale” non solo del progetto De Maio-Moratti e dei ricordati disegni di legge, ma anche del documento della CRUI. Infatti la CRUI ‘perfeziona’ e ‘arricchisce’ il meccanismo concorsuale del progetto De Maio-Moratti, precisando che le idoneità nazionali non devono superare di oltre il “20 o 30%” “le esigenze prospettate dagli atenei”, “del tutto liberi di chiamare o meno gli idonei”. La CRUI vorrebbe anche le “commissioni composte per metà da membri elettivi e per metà da membri sorteggiati”, della serie “proviamo anche questa”.

La CRUI si avventura a prospettare una (anzi mezza) novità: la commissione nazionale dovrebbe operare solo nei concorsi per la seconda fascia, mentre per i concorsi per la prima fascia (questa sarebbe la vera novità) e per la terza fascia le commissioni sarebbero determinate autonomamente dagli atenei. Nel documento si aggiunge che, “per evitare abusi” (sic!), le commissioni per la terza fascia dovrebbe essere composte da “almeno un terzo di professori di altre università”. In realtà l’unico “abuso” che si commette, oggi come ieri, nei concorsi per ricercatore è che essi sono banditi per vincitori predeterminati e, conseguentemente, molto spesso il numero dei concorrenti coincide con quello dei posti. Così succedeva con le commissioni sorteggiate da terne scelte dal CUN, così succede oggi con le commissioni con due docenti di altre università su tre. Ma come si fa a sostenere che con un ‘esterno’ invece che due si evitano gli abusi? Il fatto è che l’attenzione e la logica non sono mai stati applicati ai meccanismi del vero e unico momento di reclutamento alla docenza, cioè l’ingresso per la prima volta nei ruoli della docenza universitaria. L’accademia che conta si guarda bene dall’imitare in questo gli Stati Uniti: in Italia il reclutamento alla docenza deve essere appannaggio esclusivo del singolo professore e basato sulla conoscenza e formazione ‘personalizzata’ del nuovo docente, che deve essere ‘umanamente’ compatibile con chi lo sceglie. Dopo questa iniziale cooptazione personale, il controllo della carriera avviene attraverso successivi meccanismi concorsuali, facendo finta che un ricercatore che diventa associato o ordinario e che un associato che diventa ordinario non continuino il lavoro che stavano svolgendo prima della promozione.

C’è la possibilità di impedire realmente gli abusi concorsuali attuali e passati? Sì se, come abbiamo molte volte detto, invece di continuare a rimescolare le carte (come fa anche la CRUI) si cambia il gioco. L’ANDU da anni propone un meccanismo semplice e logico che ha come unica controindicazione di non consentire più il ‘possesso’ delle carriere da parte dei baroni-padroni. Il reclutamento (quello vero) dovrebbe essere ‘spersonalizzato’ e qualificato, perciò i concorsi per la terza fascia dovrebbero essere svolti con una commissione nazionale interamente composta da professori ordinari tutti sorteggiati. Il successivo passaggio nelle altre fasce dovrebbe essere sottratto totalmente al ‘mercato dei finti concorsi’ ed esclusivamente affidato ad un giudizio di idoneità a numero aperto espresso da una commissione nazionale interamente composta da professori ordinari tutti sorteggiati. All’esito positivo di questa valutazione dovrebbe seguire, automaticamente e contestualmente, il pieno riconoscimento della nuova qualifica accademica, senza ulteriore chiamata da parte della facoltà in cui il docente già lavora e continuerà a lavorare. Su questa questione v. anche il documento dell’ANDU “Concorsi (?) universitari”.

Il documento della CRUI prevede anche la terza fascia e l’inquadramento in essa degli attuali ricercatori, aggiungendo che “bisognerebbe evitare l’estensione di fenomeni di precariato”. Quest’ultima affermazione dovrebbe significare che la CRUI è contro il precariato (8 anni) previsto dai richiamati disegni di legge presentati al Senato.

E proprio al Senato è accaduto recentemente un fatto ‘straordinario’ per l’attuale quadro politico, ma ‘normale’ nel quadro accademico-politico di sempre: il Presidente ha attribuito alla Commissione Istruzione il cosiddetto “Affare assegnato” sulla questione universitaria; a sua volta il Presidente della Commissione ha affidato al sen. Tessitore dei DS, un partito dell’opposizione, il compito di relatore. L'”Affare assegnato” è all’ordine del giorno della Commissione questa settimana.

Il documento con il quale i senatori DS hanno richiesto l’attribuzione dell'”Affare assegnato” contiene alcune affermazioni che meritano un breve commento.

Nel documento si criticano le “visioni settoriali poco consone all’interesse generale della cultura e della formazione”. Si deve forse intendere che il sen. Tessitore si appresta a ritirare la sua firma da due disegni di legge di cui è primo firmatario? Con il primo disegno si vuole ridurre da due a uno il numero di ‘idoneabili’ negli attuali concorsi e con il secondo, quello qui più volte citato, si ‘riforma’ per conservarlo lo stato giuridico dei docenti (v. documento dell’ANDU “Lo stato giuridico dei docenti Universitari secondo AN e Senatori DS e della Margherita”. Come abbiamo già sostenuto, entrambi i disegni di legge sono stati elaborati secondo “visioni settoriali poco ecc.”.

Si sostiene che “la legge di riforma, pur modificabile in punti significativi, non può essere ritenuta responsabile del sostanziale non raggiungimento di alcune delle finalità preventivate” e cioè “la riduzione del numero dei fuori corso e degli anni di durata reale degli studi”. “E d’altra parte non può essere taciuto il fallimentare risultato del sistema dei concorsi per l’accesso ai ruoli universitari”. Insomma, due ‘disastri annunciati’, denunciati prima dell’approvazione delle relative leggi, non sarebbero ora imputabili alle leggi stesse (e a chi accademicamente e politicamente le ha imposte), ma la colpa sarebbe invece “dei criteri di applicazione e gestione” “da parte governativa” e “da parte degli Atenei”. In qualche modo è vero che la colpa è degli Atenei, ma nel senso che i docenti e gli studenti avrebbero dovuto insorgere contro l’insensata e arrogante gestione del Ministero e impedire l’approvazione di norme volute da un accademia abituata a fare e disfare senza mai pagare alcun prezzo per gli immensi danni causati al Paese, agli studenti e ai docenti.

Si afferma che occorre “garantire l’autonomia del sistema come condizione preliminare per l’autonoma configurazione delle parti del sistema. A tal fine vanno riviste in prospettiva le forme e le strutture attraverso le quali attualmente si effettua il governo degli Atenei.” Giusto e preoccupante insieme. Se si vuole garantire realmente l’autonomia del sistema nazionale e pubblico dell’Università perché non almeno accennare alla necessità di un organismo nazionale interamente elettivo e realmente rappresentativo di tutte le componenti universitarie? Organismo che non è certamente l’attuale CUN, normativamente demolito nelle precedenti legislature e ora prorogato dal Parlamento nonostante la sua composizione illegittima. L’accenno solo alla riforma del governo degli Atenei fa temere che si possa andare verso la riduzione della partecipazione democratica alla loro gestione. In questo senso, non può non preoccupare la richiesta della CRUI di assegnare ai Rettori “la responsabilità disciplinare dei docenti”, abolendo “l’attuale ‘corte disciplinare’ istituita presso il CUN”.

Per tentare di impedire che il cerchio della controriforma universitaria si chiuda l’ANDU promuoverà iniziative di dibattito negli Atenei.

17 marzo 2003

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