Una legge contro i ricercatori e contro l’università

Non sono state tenute quindi in alcuna considerazione le puntuali critiche e le proposte alternative che avevamo formulato (v. documento dell’ANDU “Autonomia e libertà dell’Università dalla lobby accademica” http://www.bur.it/sez_2a_2.htm mercoledì 24/07).
Nei confronti di una legge che è punitiva per tutti gli attuali ricercatori universitari e che introduce il reclutamento precario alla docenza, non possiamo che ribadire quanto contenuto in quel nostro documento la cui seconda parte qui riportiamo.”Purtroppo anche nell’attuale testo presentato dal Gruppo DS della Camera si fanno propri gli interessi della potente lobby accademica, incorrendo, tra l’altro, in incoerenze giuridiche e proponendo novità gravissime sul piano dei ruoli della docenza.
Come si legge nella relazione, il provvedimento costituisce “un pur minimo riconoscimento, senza alcun aggravio economico per il bilancio dello Stato e degli atenei, delle funzioni insostituibili che la più gran parte dei ricercatori esercita da anni nel quotidiano espletamento dell’attività didattica dei nostri atenei”, cioè non è prevista alcuna modifica del trattamento economico per i ricercatori che dovessero diventare professori, così come non è previsto alcun mutamento dello stato giuridico (comma 5, art. 1). In realtà una modifica peggiorativa è introdotta dal comma 6 dello stesso articolo che consente di imporre “la responsabilità didattica di corsi non coperti da professori di prima e seconda fascia”, mentre per gli attuali ricercatori ciò è possibile solo su loro domanda.E per svolgere un’attività didattica più subalterna, per mantenere l’attuale retribuzione e per potere partecipare a pieno titolo ai Consigli di facoltà, come peraltro già previsto da gran parte degli Statuti, i ricercatori dovrebbero sottoporsi ad “una verifica positiva, con modalità stabilite dagli atenei, dei titoli scientifici e dell’attività didattica svolta e documentata per almeno tre anni, anche non consecutivi” (comma 1, art. 1). Si tratta di un’assurdità giuridica, che ha solo la finalità di fornire uno strumento per non fare entrare tutti i ricercatori nei Consigli di quelle Facoltà dove particolarmente acuto è l’interesse a salvaguardare l’attuale composizione.
La verifica contenuta nella “Bozza”, se approvata, avrebbe anche la conseguenza di prevedere, per la prima volta nella legislazione universitaria, che un ruolo possa essere ‘riempito’ con modalità non omogenee in tutti gli Atenei, aprendo un nuovo e immenso varco nella direzione della demolizione dello stato giuridico nazionale dei docenti, già messo in crisi dalla finta autonomia statutaria che ha consentito l’attribuzione di ‘pesi’ diversi da un Ateneo all’altro alle fasce della docenza, e dai concorsi localistici.Su questa questione si mostrano più saggi giuridicamente e più ‘buoni’ i presentatori del disegno di legge Tessitore-Villone(http://www.senato.it/bgt/ShowDoc.asp?leg=14&id=00024405& tipodoc=Ddlpres&mod o=PRODUZIONE) che per il passaggio degli attuali ricercatori nella terza fascia prevedono “un giudizio di idoneità formulato dai consigli di corso di laurea”, consentendo esplicitamente ai ricercatori di rimanere tali (comma 6, art. 15). Insomma, quanto basta per ‘scremare’ i ricercatori per non sconvolgere la composizione di alcuni Consigli di Facoltà.

Nella “Bozza” dei DS della Camera è prevista anche l’introduzione di un lungo periodo di precariato, di fatto di almeno 9 anni (3 anni di dottorato, più 6 anni di contratto). Una previsione questa che, tra l’altro, porta acqua al mulino di chi propone l’esistenza di solo due fasce di professori.
Tale e tanta è la preoccupazione di ‘tranquillizzare’ l’accademia che conta, che nella stessa “Bozza” si prevede l’esclusione dei professori di terza fascia praticamente da tutte le cariche e per il resto (?) il rinvio agli Statuti (comma 8, art. 1).
Per risolvere la questione dell’istituzione della terza fascia, senza subire i voleri dell’accademia che conta, seguendo il buon senso e il senso di giustizia, basterebbe ripresentare e sostenere sul serio il testo che il 29.4.99 il Senato ha approvato nonostante i pesantissimi e spesso impropri interventi delle Commissioni Affari Costituzionali e Bilancio, entrambe fortemente condizionate da componenti-professori di area giuridica.

A tale semplice soluzione, si arriva forse solo se prima si prende atto che non si può promuovere/sostenere la mobilitazione per la democrazia e per la libertà di informazione contro i poteri forti fuori dell’Università, senza contemporaneamente fare i conti con quanto sulle stesse questioni accade nell’Università e sull’Università. Consentire ancora, condividendolo o subendolo, il sequestro dell’Università da parte della lobby accademica non solo umilia ed emargina i ricercatori, rendendone più difficoltoso l’impegno per la democrazia, ma lancia segnali ‘disarmanti’ anche alle altre fasce della docenza, al personale tecnico-amministrativo e agli studenti, ai quali si mostra che esiste un settore non proprio marginale della Società, l’Università, dove valgono ‘regole speciali’ che consentono a pochi di fare comunque ciò che vogliono, naturalmente per la cultura e la scienza; ‘regole speciali’ che sembrano valere anche per chi istituzionalmente dovrebbe avere un ruolo politico, cioè perseguire la difesa degli interessi generali e non quella dei poteri forti. Insomma, per le questioni universitarie sembra che non si paghi mai per gli errori politici. L’Università deve continuare a ‘godere’ di una sorta di extraterritorialità istituzionale dove è assicurata un’impunità politica trasversale?”

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