Epurazioni governative e accademiche – AL LUPO?

Epurazioni governative e accademiche

AL LUPO?

L’articolo di Luciano Gallino comparso il 17.10.02 su Repubblica (“La logica dello spoils system e il giuramento dei professori”) contiene una gravissima denuncia che riguarda l’Università e non solo. Gallino denuncia una situazione di gravissimo pericolo per la democrazia: egli teme “che qualcuno nella maggioranza stia pensando al modo di indurre i professori (universitari) ad evitare di esprimere ogni forma di dissenso”, di continuare a criticare “pubblicamente il suo (del Governo) operato scrivendo sui pochi giornali non ancora allineati con il regime”; questo modo “potrebbe consistere nel toccare … la inamovibilità del posto”. Infatti sembra che “nel disegno di legge ora in gestazione sullo stato giuridico dei docenti universitari sia previsto che i futuri vincitori di concorso delle tre fasce non saranno assunti subito in ruolo in via definitiva … Ai nuovi vincitori verrebbe invece offerto un contratto con l´università della durata di pochi anni, eventualmente rinnovabile. Ciò non toccherebbe gli attuali professori ordinari, ma tutti coloro che faranno un concorso per passare da una fascia a quella superiore, o entrare per la prima volta nell’Università. Sarebbe in tal modo avviata la precarizzazione della docenza universitaria, strumento d´elezione di controllo ideologico. Chi mai vorrebbe presentarsi con qualche peccato d´opinione dinanzi ad una commissione di nomina governativa, quando dal giudizio di questa dipende la carriera?” Gallino prevede che “considerata l´entità del numero iniziale (circa 50.000), coloro decisi a opporsi al progetto di un´università assoggettata al potere politico potrebbero comunque risultare alla fine alcune migliaia. Un gruppo abbastanza grande per cominciare fin da oggi a farsi sentire. … Prendendo pubblicamente posizione sui rischi per le sorti della natura stessa dell´università che esso potrebbe contenere in forme più o meno esplicite.” Gallino, non troppo larvatamente, paragona quanto si prospetterebbe alla situazione che si ebbe nel 1931 quando “i professori universitari di ruolo che rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo furono in tutto 12 su 1.200, ossia l’uno per cento.”

Finora, a quanto ci risulta, non ci sono state reazioni alla gravissima denuncia di Gallino da parte di chi ha accesso alla ‘grande’ stampa (v. nota). Questo silenzio è comunque preoccupante: se Gallino è considerato un allarmista andrebbe pubblicamente detto, se invece egli ha sostanzialmente ragione la sua denuncia andrebbe ripresa e, soprattutto, andrebbero promosse iniziative adeguate alla drammaticità di quanto affermato. Insomma, se fosse vero che si vuole introdurre una commissione di nomina governativa occorrerebbe insorgere e mobilitare l’Università e il Paese contro il Governo. Ma se ciò non fosse e fossero invece commissioni di nomina accademica a ‘gestire’ “la precarizzazione della docenza universitaria, strumento d’elezione di controllo” non governativo, ma accademico? In altri termini, se l’inamovibilità è, come giustamente sostiene anche Gallino, il fondamento della libertà di insegnamento garantito dalla Costituzione, essa non andrebbe garantita comunque?

A prevedere la possibilità di licenziamento dei docenti universitari e il precariato non è solo la maggioranza, ma anche chi dovrebbe stare all’opposizione. Infatti nel disegno di legge presentato nel maggio di quest’anno dai senatori, dei DS e della Margherita, Tessitore, Monticone, Acciarini, Coviello, D’Andrea e Villone viene previsto per ordinari, associati e professori di terza fascia che “il docente è collocato a riposo” se non supera una verifica quadriennale (comma 6 dell’art. 14). E lo stesso disegno di legge prevede una lunga fase di precariato con contratti di ricerca e di insegnamento di durata di quattro più quattro anni (comma 2 dell’art. 7) che si sommeranno di fatto agli anni di dottorato. Il meccanismo previsto dal disegno di legge dei Senatori del Centro-sinistra è ‘tecnicamente’ più ‘epurativo’ di quello che Gallino attribuisce al Governo. Questi Senatori infatti prevedono per chi è già in ruolo una verifica (con possibilità di licenziamento) periodica e obbligatoria, mentre il Governo la prevederebbe ‘solo’ per coloro che vogliono trasformare il loro contratto in un posto di ruolo.

Su queste stesse questioni il disegno di legge Tessitore-Villone non fa che ripetere sostanzialmente quanto previsto da quello presentato qualche mese prima dal senatore di FI Asciutti che prevede che il docente che non supera la verifica quadriennale “cessa di appartenere al ruolo” (comma 8 dell’art. 9) e tre più tre anni di precariato (comma 3 art. 12). Il documento dell’ANDU di commento a quest’ultimo disegno di legge si intitolava “Epurazione”.

Nulla di nuovo sotto il sole: da sempre le intenzioni degli accademici che contano sono comuni e uguali sono i contenuti principali delle iniziative parlamentari che essi conducono servendosi dei gruppi parlamentari di maggioranza e di opposizione.

Il trasversalismo delle operazioni accademico-parlamentari si è particolarmente evidenziato quando l’accademia che conta si è scagliata con ferocia corporativa contro il giusto riconoscimento del lavoro effettivamente svolto dai ricercatori previsto nella legge con la quale si stava istituendo la terza fascia. Questa legge aveva ’solo’ due contenuti: chiamava professori i ricercatori che da anni svolgono la piena docenza e li faceva entrare tutti nei Consigli di facoltà, come già peraltro previsto in molti Atenei (ma non a Napoli, Roma 1 e Torino). Allora accadde un fatto che forse mai è stato consumato in Parlamento: togliere la sede legislativa dopo l’approvazione di tutti gli articoli della legge e un minuto prima della votazione finale. Con l’azione “a tenaglia”, condotta attraverso un appello promosso da professori della Facoltà di Giurisprudenza di Roma 1, prontamente pubblicato dalla ‘grande’ stampa, e un (af)fondo di Panebianco sul Corriere della Sera, si è ‘aiutato’ l’on. Dalla Chiesa a raccogliere le firme per togliere la sede legislativa alla legge a favore della quale si erano espressi gli esponenti di tutte le forze politiche. La metà delle firme raccolte era costituita da quelle di tutti i Deputati della Lega Nord: come dire, il fine giustifica ogni mezzo.

I metodi arroganti e prepotenti usati in quell’occasione per difendere gli enormi interessi accademico-economico-politici di un gruppo ristretto, ma potente di professori, non sono nuovi: basti pensare al frequente uso improprio delle “finanziarie” per imporre norme sull’Università o alla maniera con cui il sottosegretario-ministro Guerzoni ha gestito il ministero dell’Università.

Tra i trenta professori ordinari firmatari di quell’appello vi era anche Nicola Tranfaglia che ora accusa il Governo di volere “distruggere la scuola e l’università pubblica” (“Università sul binario morto” su l’Unità del 2.10.02), dimenticando che l’opera di smantellamento dell’Università nazionale e pubblica è iniziata da circa dieci anni e che da decenni vige il regime di una potente lobby accademica che controlla il Parlamento, il Ministero e la ‘grande’ stampa. Questa lobby ha usato tutti i mezzi per imporre leggi che hanno portato all’attuale disastro dell’Università: autonomia finanziaria, falsa autonomia statutaria, cancellazione sostanziale di ogni Organo nazionale di rappresentanza democratica delle Università, finti concorsi, improvvisata riforma didattica. Questa lobby ha avuto il suo strumento istituzionale nella Conferenza dei Rettori il cui ex (da pochi giorni) Presidente sarà lunedì prossimo eletto al Senato come candidato dell’Ulivo.

E cosa è se non una situazione di ‘regime’ accademico che fa tacere sulla straordinaria condizione che caratterizza la Facoltà di Giurisprudenza di Roma 1 in cui 86 professori ordinari dovrebbero insegnare da soli a oltre 20.000 studenti, visto che non vi è alcun professore associato e che nessuno dei 128 tra ricercatori e assistenti ha una supplenza? In quella Facoltà i professori vengono ‘assunti’ non per concorso, ma solo per trasferimento. Cosa succederebbe se questo modello (zero associati, nessuna supplenza ai ricercatori, solo ‘trasferimenti’ per avere nuovi professori) venisse fatto proprio da tutte le Facoltà italiane? Come non capire che questa situazione ha pesato (v. l’appello contro la terza fascia su ricordato) e pesa ancora sull’attività legislativa?

Il dominio sull’Università è sempre stato esercitato secondo la logica dell’occupazione dei centri di potere, con metodi non dissimili da quelli che ora si denunciano nella Società. Ed è in non pochi casi che con forte strabismo si lotta per la democrazia fuori dall’Università, mentre si tace (o vi si partecipa) sulla gestione antidemocratica di quanto riguarda l’Università. Ripetiamo che “è necessario che i professori universitari siano democratici fuori e dentro l’Università se vogliono essere credibili nella loro lotta per la democrazia, se non vogliono essere sospettati di partecipare alla lotta di un sistema di potere non democratico contro un altro sistema di potere non democratico.” (v. “Lettera aperta ai professori che si mobiliano per la democrazia”).

22 ottobre 2002

Nota. L’intenzione di prevedere la presenza di accademici scelti direttamente dal Governo è stata già ufficialmente annunciata dal Ministro che prevede per il CUN, che dovrebbe essere il massimo Organo dell’autonomia Universitaria, una “composizione in parte elettiva e in parte di nomina governativa“. Nonostante la denuncia dell’ANDU (“Autonomia dal governo della lobby accademica”), anche su questo c’è stato finora il silenzio stampa.

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